Rozzano, 20 anni per la strage «È una sentenza scandalosa»

Sparò a 4 persone tra cui una bimba di 2 anni. Confermata in appello la pena per Vito Cosco

Enrico Lagattolla

Quattro persone uccise, e vent’anni di reclusione. Così ha deciso ieri la Terza Corte d’Assise d’Appello, che ha confermato la sentenza di primo grado a carico di Vito Cosco, l’uomo della «strage di Rozzano»: un regolamento di conti durante in quale, nell’estate di due anni fa, uccise quattro persone. Due pregiudicati, Alessio Malmassari e Raffaele De Finis, e due passanti, Attilio Bortolotti, pensionato di 60 anni, e Sebastiana Monaco, una bambina di soli due anni.
Dopo tre ore di camera di consiglio, vengono respinte sia la richiesta di ergastolo per omicidio premeditato, formulata dal sostituto procuratore generale Gian Luigi Fontana, sia quella del difensore dell’imputato, l’avvocato Pietro Pitari, che aveva sollecitato il riconoscimento delle attenuanti generiche. Come in primo grado, la corte ha considerato l’attenuante della provocazione equivalente all’aggravante della premeditazione. Quindi, niente ergastolo. «Era prevedibile - commenta Pitari -, è una sentenza tecnicamente ineccepibile e nel merito ritengo sia risolutiva di tutte le aspettative sia dell’accusa che della difesa. È un processo che ha avuto una serie di risvolti in cui i giudici, con molto scrupolo, hanno letto e analizzato molto bene le carte». Più cauto il pg Fontana: «Attenderemo le motivazioni».
«Rozzano è la causa di tutto», aveva detto il legale in mattinata. È a Rozzano che Cosco, calabrese di 27 anni, conosce Malmassari, di 29, e De Finis, di 23. Due giovani con molti precedenti per furto, ricettazione, detenzioni di armi. Quello il «contesto», una storia di spaccio e debiti finita in tragedia. È il 22 agosto del 2003, l’uomo esce di casa, estrae una calibro 9 e spara otto colpi. Uccide Malmassari e De Finis, ai quali doveva del denaro. Ma due proiettili colpiscono anche l’anziano pensionato e la bambina, che muore tra le braccia della madre.
«Ero accecato dalla rabbia e dalla paura di rappresaglie contro i miei familiari», dice Cosco subito dopo essersi consegnato ai Carabinieri. E racconta delle minacce legate a quel debito, fatte «davanti a mio figlio e mia moglie incinta». Fino a quel venerdì, quando prende l’arma, affronta in strada i due pregiudicati e spara. Una mattanza.
In primo grado, il giudice Fabio Paparella lo condanna a vent’anni di reclusione con rito abbreviato, suscitando l’ira dei parenti delle vittime. Così anche ieri. Unica presente è Caterina, la vedova Malmassari. Che non trattiene la rabbia, e scoppia in lacrime. «È una seconda pagliacciata, se per lo Stato questa è giustizia, allora la gente fa bene ad ammazzare. Non è stata fatta giustizia per la seconda volta, e ora dico basta perché quei quattro morti devono farli riposare in pace. Io ritiro la mia costituzione di parte civile, che si tengano i loro soldi. Cosa volete che mi importi dei soldi...».
E polemico è anche l’avvocato Nicola Cortesi, legale di parte civile.

Annuncia ricorso in Cassazione, aggiungendo che «per l’ennesima volta i giudici non hanno avuto il coraggio di infliggere una pena seria, quando poi per spaccio di stupefacenti magari si pagano anche trent’anni». Ancora, «si è affermato il principio che ciascuno può farsi giustizia da sé. Questa condanna lancia un messaggio ben preciso: è passata una linea ipergarantista, e reati così gravi non la meriterebbero».

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