Rubano quadro e lasciano copia Iervolino beffata nel suo ufficio

Alcuni giorni fa uno dei massimi esperti leopardiani, il professor Nicola Ruggiero, mi ha fatto un dono straordinario. Conoscendo il mio amore per il poeta di Recanati, mi ha regalato due dei confetti che facevano parte del cartoccio aperto dal cantore di Silvia il giorno della morte, e «fatto fuori» con incredibile avidità: quasi un chilo e mezzo di confetti di Sulmona. Per me questi confetti sono una reliquia. Ma non li ho assicurati, né vi ho messo ai lati due corazzieri, fidando nell’ignoranza della gente. Ma quando alle spalle in ufficio si ha un Luca Giordano, quando si è sindaco di una città che ha elevato il falso a opera d’arte, quando in questa stanza ci entra un bel po’ di gente, beh, qualche precauzione andrebbe presa.
Il primo cittadino di Napoli e il sottoscritto non si sono mai incontrati, ma se questi fosse entrato nel suo ufficio e avesse osservato la tela del Giordano, da fine intenditore d’arte qual è (riconosco subito un Picasso da un Raffaello) e soprattutto da profondo conoscitore dei suoi concittadini, due paroline nell’orecchio al sindaco gliele avrebbe dette. Che paroline? Le avrebbe ricordato che in una sala dell’Alhambra di Granada, in Spagna, c’era un preziosissimo lampadario a forma di stella, considerato un’autentica rarità, e che nel 1354, il re arabo Yusuf I ordinò che fosse punito con la morte (la morte, capite?) chiunque avesse osato riprodurlo. Con una simile prospettiva, quale falsario partenopeo avrebbe sostituito il dipinto di Luca Giordano?
Ora la domanda è: quanto vale questo falso? Non si tratta certo della sostituzione della Gioconda (avvenuta nel 1911 per mano dell’imbianchino e decoratore Vincenzo Perugia) ma insomma, un Luca Giordano è pur sempre un Luca Giordano, e poi, farla sotto il naso di un sindaco non è impresa di tutti i giorni. Bisogna infatti sapere che contraffare una «griffe» al punto da renderla indistinguibile dall’originale non è cosa da tutti. È per questo che lungo i marciapiedi di alcune vie del centro si leggono cartelli come: «Autentiche borse “Luì Vitton”, perfettamente imitate» oppure «Autentici falsi “Valentino”». In una città di falsi, bisogna sapersi difendere. Negli anni Settanta, prostitute all’angolo di una strada esposero il cartello: «Puttane vere».
Il falso (il falso napoletano) è materia di studi: «Un vero falso d’autore -spiega Salvatore Casillo docente di sociologia industriale all’Università di Salerno e fondatore del Centro studi sul falso (a Salerno c’è addirittura un Museo dei falsi, dove, modestamente, c’è anche un esemplare di “Io speriamo che me la cavo”- deve costare almeno il venti per cento di quello originale». Il venti per cento. Ma quanto vale un Luca Giordano? Dipende, naturalmente: in ogni caso una bella cifra. E se al danno si sostituisce la beffa, voglio dire: se al valore di questo falso si somma lo sberleffo (il pernacchio virtuale alla Iervolino), questa copia potrebbe essere battuta da Christie’s o da Sotheby’s. Fossi nella Iervolino l’acquisterei e la rivenderei su ebay.
È corsa anche voce, poi smentita, che mancassero all’appello una ventina di statuette presepiali del ’700. Ma poi siamo sicuri che le restanti statuette siano originali? Di recente i cinesi hanno immesso sul mercato falsi pastori d’arte napoletani, e non vorrei che fossero quelli (benché pare che circolino anche falsi napoletani dei falsi cinesi: che casino!).


A questo punto lasciate che rivolga un appello ai maestri falsificatori napoletani: visto che siete così bravi a sostituire le cose sotto il naso della gente, ci dareste un falso Bertinotti, un falso Santoro e un falso Di Pietro, ma che la pensino diversamente? Credetemi: ve ne sarebbero grati pure i cinesi!

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