Avevano messo in piedi un meccanismo perfetto: rubavano gli assegni spediti per corrispondenza, prelevata dalle buche delle lettere, li falsificavano e usavano i proventi per alimentare un fiorente giro di usura. Usando spesso le stesse vittime, quasi tutti rispettabili imprenditori, ad andare a cambiare in banca gli assegni «taroccati». Lattività della gang è stata alla fine scoperta dalla procura di Monza che, grazie alle indagini della squadra mobile, ha arrestato 13 persone, 7 poi messe ai domiciliari.
Il «giochino», secondo gli investigatori andava avanti da almeno due o tre anni, ma condotto con estrema discrezione, tanto le Poste Italiane si erano accorti di questi continui ammanchi solo recentemente. Pressapoco quando alla procura di Monza avevano iniziato a sentire lodore di bruciato. Il procuratore Antonio Pizzi e il suo sostituto Salvatore Bellomo hanno delegato Vittorio Rizzi, capo della mobile, delle indagini e alla fine lorganizzazione è stata smascherata.
Ai vertici cerano Antonio Ciccatelli, 39 anni, e Gaetano Iannicella, 51, che procuravano le chiavi per aprire le cassette delle poste, indicando anche quelle posizionate nei punti migliori. Vale a dire a ridosso di zone industriali e artigianali, centri commerciali, uffici, sparsi in tutta la Brianza. A fare la «levata» ci pensava poi Giuseppe Munno, 30 anni. La corrispondenza veniva poi con calma aperta e controllata. I soldi sparivano subito, mentre gli assegni venivano affidati alla falsificatrice. La giovane e avvenente Francesca Morgana, 28 anni, che con una «magia», visto il cognome, faceva aumentava limporto degli assegni. Ma non di molto, per non destare sospetti. Lastuzia della «fata» Morgana era arrivata al punto di applicare lo scotch sullimporto dellassegno, per impedire ulteriori falsificazioni. Per dimostrare che chi lo aveva emesso era una persona per bene.
A riciclare gli assegni ci pensavo poi le vittime del giro di usura, messo in piedi dalla stessa banda, ed esteso in quasi tutto il nord Italia. Nel maggior parte dei casi imprenditori costretti a cambiare gli effetti, grazie alla loro solida reputazione. E se non obbedivano agli ordini della gang erano dolori. Solo uno ci ha provato e si è ritrovato con il figlio di 16 anni prima sequestrato e poi minacciato con una pistola puntata alla tempia.
«Smettete di spedire soldi e valori per posta - ha ammonito alla fine Stefano Grassi, responsabile della sicurezza delle Poste - oltre a non essere consentito, è anche, come abbiamo visto, estremamente rischioso»
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