I minuti di imbattibilità sono arrivati a quota 343, la sua porta è tra le meno perforate dellintera Serie A e dal Brasile giungono le prime avvisaglie di una possibile convocazione nella Seleção verdeoro. Ma lui, come consuetudine, non si scompone. «Se Dunga volesse spendere tre lire per chiamarmi, sarei contento» dice. Il lui in questione è Rubens Fernando Moedim, noto ai più come Rubinho, e non è tipo da lasciarsi andare a facili entusiasmi. Modi pacati, parole buone per tutti, flemma che lo allontana anni luce dal comune stereotipo portiere-pazzo o guascone o estroverso. Il numero 83 del Genoa arriva nella sala stampa di Villa Rostan in ciabatte e calzoncini, tanto per far capire che il look, per gente come lui, passi in secondo piano. Va bene che lo si è visto presenziare alle sfilate milanesi («Posso fare il modello di schiena...»), ma a fare lindossatore, con quellaspetto da primo e sbarbato Francesco Guccini, non ci pensa proprio.
Pensa al suo Genoa, invece, quarto in classifica al giro di boa e sempre più compatto nella rincorsa dellobbiettivo europeo. «Stiamo facendo bene, alla grande - attacca Rubinho - e proveremo a continuare così. I pochi gol che subisco? Qui anche gli attaccanti esterni arretrano e vengono a dare una grossa mano dietro. È tutto frutto di un lavoro di squadra che coinvolge tutti». Un lavoro duro («Non penso che esistano squadre che sallenano come noi, due ore al giorno con questa intensità») ma del quale non si può essere che soddisfatti: «Sì, ma non ci dobbiamo accontentare. Dobbiamo migliorare sempre, sbaglieremmo a pensare di essere al top. Nel girone di ritorno saremo più temuti e per rimanere su questa strada dovremo fare ancora di più». Dove può fare di più il Rubinho di questi tempi pare difficile dirlo, anche perché il climax di prestazioni - fatta salva la papera con la Lazio - è sotto gli occhi di tutti. «In effetti mi sento più sicuro rispetto allanno scorso. Ho cambiato modo di rinviare, cerco di capire di più le giocate degli avversari e non ho ancora subito reti su punizione. Nelle uscite poi, se prima andavo coi pugni e anche con un po di timore, ora cerco sempre la presa. Direi che questanno sono migliorato».
Merito suo - senza dubbio -, ma anche del preparatore Gianluca Spinelli, che in questi due anni e mezzo ne ha seguiti i progressi, giorno dopo giorno, seduta dopo seduta. «Se oggi sono quello che sono - ammette il portiere paulista - lo devo certamente a «Spino» e al lavoro che mi ha fatto fare. Al martedì, ad esempio, ci mostra video nostri e di altri portieri, ci fa capire gli errori e ci spiega come correggerli: a mio avviso è il migliore nel suo mestiere». E poi cè Alessio Scarpi, suo fedele dodicesimo: «Scarpi mi aiuta tantissimo e per lui ho fatto piangere mio figlio. Quando contro lInter ha parato il rigore, io e mia moglie, davanti alla televisione, ci siamo messi ad urlare e abbiamo fatto prendere uno spavento incredibile al bambino... Scherzi a parte, penso che sia il giocatore più rispettato dallintera rosa, è un grande portiere e un grande compagno».
Lo stesso Scarpi ha proseguito ieri il lavoro differenziato al pari dei soliti lungodegenti Gasbarroni, Paro e Palladino. Lattaccante esterno partenopeo sè rivisto al «Signorini» sorridente e con gli scarpini chiodati ai piedi: buon segno in prospettiva di un rientro in gruppo che savvicina a passi spediti. Sotto il terso cielo pegliese e di fronte a un buon pubblico, il resto della truppa rossoblù di Gian Piero Gasperini ha svolto una doppia seduta.
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