Rugby Adesso non chiediamo un miracolo a partita

di Elia Pagnoni

La vittoria della scorsa settimana contro la Francia vale più di quello che abbiamo fatto in dieci anni di Sei Nazioni. Con qusto vogliamo sgombrare subito il campo da cattive interpretazioni e riconoscere a questo 2011, anno di grazia del rugby azzurro, un valore quasi epocale.
Detto questo, stiamo con i piedi per terra e cerchiamo di fare un bilancio di un torneo finito con una delusione incredibile, perché, dopo l’exploit del Flaminio, tutti si aspettavano che l’Italia potesse passare a Murrayfield come se andasse a giocare contro Andorra o San Marino. D’altra parte la conquista di popolarità che ha accompagnato la nazionale in questi dieci anni, va necessariamente di pari passo con le attese e i giudizi di chi non conosce a pieno i valori di questo sport.
Anzi, gli eccessi di trionfalismo seguiti alla vittoria sulla Francia, arrivata anche in circostanze irripetibili dovute al suicidio del quindici di Lievremont, hanno finito per caricare di attese e di responsabilità una formazione come la nostra che - evidentemente - non può essere ancora in grado di reggere questi ritmi e questa concentrazione per due partite così ravvicinate.
Perdere in Scozia non è uno scandalo: ricordiamoci che fino a pochi anni fa gli uomini del cardo per noi erano dei maestri inavvicinabili. Solo la lenta crescita di questo gruppo - e un oggettivo periodo di crisi degli highlanders - ha fatto sì che Italia-Scozia si trasformasse spesso nel derby del cucchiaio.
Non dimentichiamoci che noi in questo torneo siamo gli ultimi arrivati, che siamo finiti in coda al gruppo per ben nove volte su 12 edizioni. Non dimentichiamoci che abbiamo ancora molto da imparare. Consoliamoci con la crescita di alcuni giocatori (Masi, la scoperta Semenzato, per non parlare di certezze come Castrogiovanni, Parisse, lo stesso Bergamasco), consoliamoci col fatto di aver perso di misura con Irlanda e Galles, ma adesso non chiediamo già all’Italia di fare l’impresa al mondiale.
Chiudiamo il Sei Nazioni a testa alta, ci teniamo questo rebus dell’allenatore, con Mallett giustamente confermato per l’avventura neozelandese, ma fortemente in dubbio per il dopo mondiale.

Probabilmente passeremo di nuovo a un ct francese, una scuola che ci è sempre sembrata più consona al nostro rugby, ma non riusciamo a capire questo continuo rimbalzare tra i due emisferi in fatto di scelte tecniche.
E adesso rituffiamoci nell’altra faccia del nostro rugby, quella che sinceramente preoccupa molto di più: il campionato invisibile.

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