Rugbymondiale in Italia, il Giappone prova a scipparcelo

Il Paese del Sol Levante è solo al sedicesimo posto del rugby internazionale. Ma si candida per ospitare le edizioni 2015 o 2019 della Coppa del Mondo: e fa scendere in campo addirittura il Primo Ministro.

«Thank you».
«Arigatò».
Ringraziamenti, sorrisi, strette di mano, fotografie. Il rituale è lo stesso di tutti gli incontri di questo tipo: c'è un grande evento internazionale da organizzare, un gruppo di paesi che se lo contendono, e i signori che dovranno decidere vengono invitati qua e là per il mondo, riveriti e coccolati, ad ammirare le risorse che la nazione di turno si candida ad investire nell'appuntamento. Alla fine fanno i complimenti, ringraziano e se ne vanno, mentre dietro le quinte un oscuro lavoro di lobby inizia a creare alleanze e sgambetti.
Così non bisogna preoccuparsi troppo per le dichiarazioni con cui i vertici dell'Irb (International rugby board), ovvero i padroni del rugby mondiale, hanno lasciato oggi il Giappone al termine della loro visita per esaminare la candidatura di Tokio ad ospitare l'edizione 2015 o 2019 della Webb Ellis Cup, il mondiale della pallaovale. E il fatto che si siano dichiarati «impressionati» dall'offerta giapponese rientra più nel campo del rituale diplomatico che della sincerità. Però è sicuro che il Giappone sta giocando forte: ad accogliere l'Irb e a spendere la propria parola a favore della candidatura nipponica c'era direttamente Taro Also, il capo del governo. E poiché la candidatura alla World Cup sottintende anche un robusto impegno economico da parte del paese ospite, l'impegno diretto del governo è un elemento che l'International board non può sottovalutare. E infatti: «Abbiamo avuto incontri molto positivi con la federazione giapponese e siamo rimasti impressionati dall'alto livello del supporto governativo», dice ripartendo per la Francia Bernard Lapasset, presidente dell'Irb.
Sulla carta, quella giapponese è la Cenerentola delle candidature. Il prossimo mondiale, nel 2011, si terrà in Nuova Zelanda. Alla fine del prossimo luglio, l'Irb assegnerà sia l'edizione 2015 che quella successiva. Sul tavolo, ci sono già le richieste di Inghilterra, Sudafrica, Australia e Italia. Le prime tre sono candidature «forti», avanzate da paesi che appartengono all'elite del rugby mondiale e che hanno già ospitato in passato la Webb Ellis Cup. La candidatura italiana è invece quella di un outsider, di un paese del rugby di seconda fascia. Ma proprio per questo potrebbe suscitare l'interesse dell'Irb: il Mondiale all'Italia segnerebbe un allargamento della platea del rugby mondiale, il grande circo della Coppa del Mondo uscirebbe dal terreno consueto dei «soliti noti» per invadere un paese di fede rugbistica ancora incerta.
Anche l'ingresso in scena del Giappone appartiene a questo secondo scenario. Dal punto di vista della tradizione rugbistica, il Giappone praticamente non esiste. Il ranking ufficiale della pallaovale planetaria vede oggi l'Italia in dodicesima posizione, e già lì c'è poco di cui essere orgogliosi (davanti a noi, tanto per dare un'idea, ci sono anche le Fiji e le Samoa Occidentali). Il Giappone è ancora più dietro, in sedicesima posizione, a separarlo dall'Italia ci sono la Goergia, il Canada e le Isole Tonga. Insomma, siamo in acque decisamente basse.
Dalla sua parte, però, il Giappone ha una vivace tradizione in quella branca un po' commerciale della nobile arte che è il rugby a 7 giocatori: partite-lampo, niente mischie, azioni fulminee.

Roba per palati grossi ma che in tutto il mondo a est del Gmt - da Dubai a Hong Kong - attira folle di appassionati. Questo potrebbe convincere l'International Board di avere la certezza di stadi pieni e bilanci okay. Che, chiacchiere a parte, sono le uniche voci che interessano i baroni del rugby globalizzato.

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