Cronache

IL RUOLO DI UN GIORNALE

Carissimo Mori,
siamo noi che ringraziamo lei e quelli (e sono tanti, mi creda), che in questi giorni ci stanno scrivendo e telefonando per ringraziarci di aver deciso di fare i giornalisti al servizio della verità e non delle false speranze in tutta la vicenda Genoa. Sono lettere come la sua o come quella di domenica del caro lettore Mario Mortola che ci commuovono e, soprattutto, ci danno la forza di portare avanti la nostra battaglia di verità e di civiltà.
Una battaglia che non è stata indolore: scrivere le verità, anche quelle più scomode, anche quelle che non avremmo voluto raccontare, ci è costato. Perchè abbiamo scontentato qualche lettore che ci ha scritto addirittura di aver abbandonato il Giornale proprio per questo motivo. Ora, fortunatamente, la maggior parte di loro sono tornati a casa e, anzi, insieme a loro hanno portato amici a cui è bastato leggerci qualche volta per non poter più fare a meno della dose minima quotidiana di informazione seria e di verità. Non poteva essere diversamente: un lettore del Giornale degno di tal nome ama la verità più di ogni altra cosa e, quindi, l’addio non poteva che essere un gesto di stizza momentaneo. Se qualcuno, invece, non è tornato a casa, forse si merita altri giornali ed altri giornalisti.
Perchè qui sta il punto. La violenza che ha di nuovo ferito Genova, nonostante Pericu si sia affannato a negare qualsiasi parallelo con i giorni del G8, è stata causata oltre che dalla stupidità e dalla violenza degli autori materiali dei disordini, anche dalla leggerezza di gran parte della classe dirigente di questa città. E se gli avvocati (che pure, secondo me, hanno sbagliato tutto quello che potevano sbagliare) hanno almeno l’attenuante che in qualche modo dovevano provare a difendere una situazione che è apparsa immediatamente indifendibile, altrettanto non si può dire del carrozzone di potenti che hanno perso occasioni per tacere o dei media che, dopo aver messo in piedi campagne di stampa perchè Preziosi non veniva invitato nei salotti genovesi, hanno continuato fino a ieri a spargere ottimismo. Il punto più basso credo che lo si sia raggiunto negli ultimi giorni accreditando anche l’ultimo ricorso di D’Angelo e Carbone, con articoli in cui l’ennesimo cavillo veniva definito «splendida iniziativa», titoli in cui si parlava di «Genoa in ansia» e pensosi editoriali in cui si spiegava che l’esito del ricorso era tutt’altro che scontato, con tanto di elogio dei magistrati che avrebbero dovuto esaminarlo.
Genoa in ansia? Splendida iniziativa? Esito aperto? A Roma si direbbe «Ma de che?», così come si direbbe «nun ce vonno stà» per spiegare la posizione di chi ha sfogliato tutte le margherite, dai garanti della privacy alla violazione della clausola compromissoria, anzichè ammettere gli errori. Anzichè fare, per noi e per i nostri figli, una battaglia di etica e morale.


Una città si giudica anche da questi particolari, anche dalla sua classe dirigente, anche dai suoi intellettuali.

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