Márton Gyöngyösi è il numero due del partito nazionalista ungherese Jobbik, che negli ultimi mesi sta guadagnando enormi consensi in Ungheria per via delle posizioni radicali su sovranità nazionale e immigrazione. Deputato all'Assemblea nazionale, è vicepresidente della commissione Affari esteri.
La proposta di Orbán sulla costruzione del muro tra Serbia ed Ungheria ha fatto il giro del mondo e mostra come le sue posizioni stiano diventando sempre più radicali. Qual è la principale differenza tra i vostri due partiti?
«La differenza tra Jobbik e Fidesz sul tema dell'euroscetticismo e dell'immigrazione sta nella coerenza e nella credibilità delle proposte. Orbán è stato uno dei grandi architetti della membership ungherese nell'Ue. Oggi ha posizioni euroscettiche ma non avrebbe mai il coraggio di chiedere di rinegoziare gli accordi con l'Unione o di indire un referendum popolare su questo, come chiediamo noi. Quello dell'immigrazione è un problema sorto da quando siamo entrati nell'Ue, che ci ha obbligato a rimuovere la nostra polizia di frontiera e a depenalizzare il reato di immigrazione clandestina. Per questo ora ci troviamo senza mezzi a dovere affrontare un enorme flusso di migranti che cercano di venire in Europa da aree come il Medio Oriente e il Nord Africa, destabilizzate per colpa degli errori politici dell'Occidente».
Qual è, invece, la differenza tra voi e altri partiti euroscettici come Podemos, Syriza o Ukip?
«I politologi risponderebbero che esiste una differenza ideologica. Io invece voglio soffermarmi sulle analogie programmatiche dei nostri partiti. La divisione destra e sinistra, infatti, appartiene ormai al passato. Oggi la grande linea di frattura è l'approccio sulla questione della sovranità. La differenza quindi non è più ideologica ma tra due tipi di élite politiche: la vecchia élite che non vuole confrontarsi con il fatto che oggi gli Stati hanno perso la propria sovranità, e una nuova élite che invece vuole difendersi dai diktat di Washington e Bruxelles».
Esiste davvero un rischio terrorismo connesso all'immigrazione?
«Certo, ogni politico responsabile dovrebbe esserne preoccupato. L'Ungheria, dopo avere perso la sovranità nella gestione dei controlli alle frontiere e dopo avere contribuito all'invio di soldati per la Coalizione internazionale anti-Isis è diventata, per la prima volta nella sua storia un obiettivo del terrorismo. Orbán ha inviato 1.050 soldati ad Erbil e stanziato venti miliardi di fiorini per la coalizione a guida Usa, lo scorso marzo. Per prendere una tale decisione è bastata a Orbán solo una mail del comando centrale Usa. Il giorno stesso l'Ungheria è stata inserita nella lista nera dell'Isis e citata in molti messaggi come obiettivo dei terroristi. Con questo non voglio dire che non dobbiamo combattere il Califfato, ma che non possiamo seguire servilmente iniziative americane che si sono dimostrate finora fallimentari».
La vostra costituzione non ammette il matrimonio gay. Che ne pensa delle tendenze opposte che ci sono in Europa?
«Mi viene da dire che siamo senza speranza. Il caso di Conchita Wurst, celebrata come regina d'Europa all'Europarlamento o quello di nazioni come l'Irlanda che votano a favore del matrimonio gay, mi fanno pensare che la nostra civiltà sia vicina alla fine. Cose di questo genere non potrebbero mai verificarsi in Ungheria e sono il frutto della diffusione dell'ideologia liberal-marxista in Europa».
Lei ha più volte affermato che l'Ungheria deve stabilire delle relazioni privilegiate con la Russia. Perché?
«Innanzitutto perché sul piano dei valori la Russia è l'unica potenza che ha mostrato di volere difendere la nostra tradizione dinanzi agli attacchi delle teorie liberal e di sinistra. In secondo luogo dal punto di vista geopolitico dobbiamo prendere atto del fatto che viviamo in un mondo multipolare, che esistono alternative all'unipolarismo americano e che presto o tardi queste alternative si organizzeranno rifiutando il nuovo “colonialismo” occidentale. L'Europa e la Russia sono profondamente interrelate e, con riferimento alla situazione ucraina, uno scontro tra noi e la Russia è contro i nostri interessi. Il nostro Paese si trova, infatti, su quella linea che divide Oriente e Occidente, sulla quale si sono sviluppati tutti i conflitti mondiali del secolo scorso.
Sono sorpreso del fatto che Paesi come la Polonia non abbiano compreso questa lezione della storia e credo che la loro “russofobia” non abbia ragione di esistere oggi. Cercare un dialogo con la Russia significa, al contrario, adoperarsi per la pace in Europa».
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