Rutelli lascia il Pd ma anche no «Comincio un nuovo tragitto»

CRIPTICO «Ora inizia un percorso diverso con persone diverse». Ma si tiene la vecchia tessera

Milano«Te ne vai o no, te ne vai sì o no?». Il ritornello è per Francesco Rutelli, canticchiato perfidamente e a bassa voce nei corridoi del Teatro Parenti, dove il cofondatore del Pd presenta il suo libro «La svolta. Lettera a un partito mai nato» e racconta il malessere per quel che è diventata la sua creatura con la vittoria di Pierluigi Bersani. Verso un addio che non è ancora un addio. Rutelli non va e non resta, medita in attesa della costituente dell’Udc di metà novembre, ma non ha ancora deciso se si unirà al partito di Casini. Ha confidato ai suoi di essere in fase di riflessione, aperto a molte soluzioni, e che forse sarà necessaria un’altra stagione politica per arrivare a una decisione. Insomma, tutto potrebbe essere rimandato a dopo le Regionali.
«Occorre iniziare un percorso diverso, con persone diverse. Davanti a noi c’è un altro tragitto» proclama dal palco. Lancia uno slogan: «Come dice l’amico Aldo Bonomi, ci rivolgiamo all’Italia laboriosa e non all’Italia del rancore». L’unica certezza è che non intende fondare un partito tutto suo: «Qualunque iniziativa dovesse nascere, non sarò colui che la incarna e la rappresenta». Illustra la sua «filosofia politica». E cioè: né con la Lega, né con Di Pietro. «Il centrodestra è sempre più destra, il centrosinistra sempre più sinistra. C’è il rischio che l’Italia si divida e che davanti al potere di trattativa della Lega nasca un partito del Sud», prevede.
Rutelli cerca ancora di capire chi potrebbe seguirlo e quali scenari gli si aprono davanti. Si parla di 25 parlamentari ma sono in molti ad attendere la contromossa del neo segretario Bersani, la possibile nascita di un centro-sinistra col trattino che renderebbe non determinante il ruolo dell’ex sindaco di Roma. Qualche lusinga arriva dagli ex democristiani del Pdl. «Rutelli merita più rispetto di molti ex dc del Pd, perché pur essendosi accostato tardi alla nostra storia la rispetta con più serietà e, come dimostra, con più gusto del rischio» osserva compiaciuto il ministro Gianfranco Rotondi.
A Milano per commentare (ed elogiare) il libro di Rutelli, Francesco Micheli, Massimo Cacciari e Lorenzo Dellai, che oggi a Roma presenterà il documento collettivo delle liste civiche di centro desiderose di seguire il percorso di allontanamento dal Pd già compiuto lo scorso anno dal presidente della Provincia di Trento. «Non abbiamo bisogno di partiti personali, né di Rutelli, né di altri, ma di un partito per chi si sente a disagio a destra e a sinistra» puntualizza Dellai.
Nell’attesa di trovare un approdo, Rutelli spara contro coloro che sono i suoi attuali compagni di partito. Li accusa di essere rimasti eredi del comunismo. A chi lo critica per aver saltabeccato per quattro diversi partiti, dai Radicali ai Verdi alla Margherita al Pd, risponde per le rime: «Anche i Ds sono passati attraverso quattro partiti, dal Pci al Pds ai Ds al Pd. Il loro problema è che non se ne rendono conto e sono convinti di far parte sempre dello stesso partito».
Il Pd di Bersani, spiega, è ostaggio del giustizialismo dell’Italia dei valori. «Di Pietro prospera su quello che sarà uno dei problemi più grandi di Bersani. Di Pietro dirà che D’Alema, colui che governa realmente nel Pd, vuole l’accordo con Berlusconi. Di Pietro dirà che lui è l’unica opposizione. Ci ritroveremo così con un’opposizione e una minoranza che si occuperà solo di fare le bucce al suo principale alleato».
Non fa in tempo a finire e dalla platea parte una contestazione all’alleanza con Di Pietro voluta da Walter Veltroni e accettata da Rutelli. Lui spiega che fu tutta colpa dei sondaggi: «Veltroni aveva dei dati e ci disse “possiamo farcela”. Poi fu Di Pietro a violare l’impegno a non costituire gruppi autonomi». Ancora passato e critiche al passatismo del Pd, legato al vecchio: «Quando abbiamo costituito il gruppo comune in Europa, il commento del Pd è stato: “si avvera il sogno di Moro e Berlinguer”. Invece il nostro modello è Tony Blair».
La conclusione sarebbe che non c’è più niente da dirsi, ma non arriva. Rutelli spiega che si aspetta «una sorpresa positiva» da Bersani e spiega che non farà una tragedia neppure quando lui aprirà agli elettori di Rifondazione e Comunisti italiani rimasti orfani di sigle e rappresentanza in Parlamento: «Prevedo che si riunificheranno il Pd e le sinistre sparse ed è utile che avvenga». Separati, ma non troppo.
Certezza politica è il no al posto fisso, rilanciato in grande stile da Giulio Tremonti. «Questo è populismo - la stroncatura di Rutelli -.

La flessibilità è necessaria per entrare nel mondo del lavoro. Pare che le parole di Tremonti siano nate da un sondaggio in cui si chiedeva agli italiani se preferiscono il posto fisso o il lavoro precario...». Inutile dire che cosa abbiano risposto.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica