Ruvido, scomodo, dimenticato. Jeffers, il poeta di "Campofame"

La famosa graphic novel di Andrea Pazienza è tratta dall'opera di uno scrittore di culto. Ecco chi era e perché era controcorrente

Ruvido, scomodo, dimenticato. Jeffers, il poeta di "Campofame"

È normale che il litorale aspro e sinuoso di Big Sur faccia pensare alla vita e alle opere di Henry Miller e Jack Kerouac; o che si associ la deliziosa cittadina di Carmel all'esperienza politica di Clint Eastwood, sindaco del piccolo borgo di pescatori sul finire degli anni Ottanta. Pochi invece sanno che tra i luoghi più caratteristici di questa porzione di California vi sia la casa di un poeta. È Tor House, costruita pietra su pietra da Robinson Jeffers a partire dal 1918. La mattina componeva versi, il pomeriggio vestiva i panni del muratore e del carpentiere. Cavò lui stesso i blocchi di granito dalla riva sottostante, li trasportò sulla collina aiutato da un cavallo, li squadrò uno a uno e li pose con cura per realizzare il suo rifugio. Un lavoro lungo e gravoso, in condizioni difficili; basti pensare che l'elettricità da quelle parti arrivò solo nel 1949. Oggi Tor House è una fondazione, e ancora svetta la sua torre alta dodici metri, Hawk Tower, «che il fallimento non può abbattere né il successo inorgoglire», come ebbe a scrivere Jeffers in una lirica.

Ma chi è Robinson Jeffers?

A dispetto di una copertina del Time, sicuro indizio della popolarità raggiunta nel 1932 (solo altri due poeti ebbero questo riconoscimento: Amy Lowell e T.S. Eliot), e del successo a Broadway di una pièce tratta dal suo adattamento di Medea, nel 1947, si tratta sicuramente di uno degli autori americani meno noti. In Italia solo pochi dei suoi titoli sono stati tradotti, e restano di difficile reperimento. Andrea Pazienza nel 1987 realizzò una personalissima versione a fumetti di Campofame (Hungerfield), opera scoperta per il tramite dell'amico poeta Moreno Miorelli.

La figura di Robinson Jeffers fu per certi aspetti controversa. Molto apprezzato tra gli anni Venti e Trenta, non gli giovò essere pacifista e anti-interventista alla vigilia della II Guerra Mondiale. Quando la Lega degli Scrittori - siamo nel 1938 - raccolse in un pamphlet il pensiero di 418 autori a proposito della guerra civile in Spagna, ovviamente in chiave antifascista, la risposta di Jeffers fu lapidaria: «Mi chiedete per cosa sono e contro cosa sono in Spagna. Darei ovviamente la mia mano destra per evitare l'agonia, ma non darei un gesto del mio mignolo per aiutare una delle due parti a vincere». Le successive prese di posizione contro l'entrata in guerra voluta da Roosvelt suscitarono le critiche dell'ambiente letterario; in molti misero in dubbio il patriottismo dell'autore.

Le sue idee non mutarono nemmeno al termine del conflitto: il poeta criticò apertamente lo sciovinismo e l'imperialismo statunitense. Nel 1948 l'editore Random House, dando alle stampe La bipenne e altre poesie (The Double Axe and other poems), non pago di aver espunto alcuni testi ritenuti troppo politicizzati, prese pubblicamente le distanze dai contenuti del volume. Un caso più unico che raro, che segnò il punto di non ritorno per la carriera di Jeffers. Nel decennio successivo pubblicò a intermittenza, avversato dai critici e via via abbandonato dal pubblico. Perfino le antologie accoglievano di rado i suoi versi.

Morto settantacinquenne nel 1962, il suo nome cadde nel dimenticatoio fino al 1987 quando, in occasione del centenario della nascita, si ritornò a parlare dell'opera di Jeffers, restituendogli il posto tra i grandi della letteratura americana.

È interessante addentrarsi nella biografia del poeta, nato nel 1887 ad Allegheny, oggi sobborgo di Pittsburgh. Fin da piccolo fu seguito negli studi dal padre, il reverendo presbiteriano William Hamilton Jeffers, insegnante di Letteratura dell'Antico Testamento e Storia Biblica al Seminario di Pittsburgh. A nove anni apprese il latino «a sberle» dall'arcigno genitore, mentre padroneggiava già il greco e la Bibbia. A dodici anni parlava fluentemente il tedesco e il francese, grazie anche al continuo peregrinare in Europa a fianco del padre: Germania, Francia e, dagli undici ai quattordici anni, nei collegi in Svizzera. Prima a Vevey, poi a Losanna, Ginevra, Zurigo. Ogni anno un luogo diverso, un nuovo istituto. La rigida disciplina scolastica, la mancanza di rapporti sociali con altri bambini e la vita errabonda lasceranno un segno profondo sul piccolo Robinson, che svilupperà crescendo una personalità schiva, amante della contemplazione e poco incline alla compagnia.

Non era appassionato gioco forza solo delle lettere: ritornato nel 1903 negli Stati Uniti, sviluppò l'interesse per le scienze. Frequentando l'Occidental College di Los Angeles si recò spesso al non distante osservatorio astronomico di Monte Wilson, lo stesso dove poco più tardi Hubble farà delle scoperte astronomiche rivoluzionarie.

Dopo la laurea a soli 18 anni Jeffers si iscrisse come studente di letteratura alla University of Southern California, per approfondire l'arte oratoria e lo spagnolo. L'incontro con la donna della sua vita, Una Call, avvenne qui. Probabilmente fu il diavolo a metterci lo zampino: avendo tempo per seguire ancora un corso, Jeffers decise frequentare le lezioni sul Faust, alle quali partecipava anche la ragazza. Tra i due scoppiò la passione ma all'epoca Una, che aveva tre anni più di lui, era già sposata con un noto e ricco avvocato losangeleno, Edward Kuster. Dopo sette anni di incontri furtivi la relazione venne scoperta e nel febbraio 1913 lo scandalo finì sulle pagine del Los Angeles Times, che dedicò diversi articoli al divorzio tra Una Call e Edward Kuster. Quest'ultimo accusava il poeta di aver plagiato la donna, mentre il quotidiano cercava tracce dell'adulterio nelle liriche di Flagons and Apples (opera prima che Jeffers pubblicò a proprie spese nel 1912, grazie a una eredità).

Tuttavia Kuster non si adombrò più di tanto per lo spiacevole epilogo del matrimonio: da qualche tempo aveva una giovane amante, Edith Emmons, della metà dei suoi anni. Il divorzio da Una avvenne il 1 agosto, e il giorno successivo entrambe le coppie convolarono a nozze. Presto cominciarono a frequentarsi, a tal punto che nel 1920 Kuster si fece costruire una casa proprio vicino a Tor House, facendo alzare il sopracciglio dei benpensanti di Carmel, che reputavano la cosa alquanto disdicevole. Una si recava a casa dell'ex marito ogniqualvolta doveva fare il bucato, dato che Tor House fu sprovvista di elettricità fino al 1949.

Ancora oggi capita che qualche turista scambi Kuster House, costruita in granito e anch'essa dotata di una torretta, per la casa del poeta: gli attuali proprietari hanno esposto un cartello all'esterno con le giuste indicazioni per raggiungere la fondazione.

Una fu compagna di vita e musa di Jeffers fino alla morte per cancro avvenuta nel 1950. Il poeta cadde in depressione, il ricordo di lei non lo abbandonò mai. Campofame, scritto nel 1951 ma pubblicato solo tre anni dopo, è dedicato a lei: «Una è morta, e io / sto aspettando la morte, come un albero senza foglie / aspetta che le radici marciscano e il tronco cada».

«Non ho simpatia per l'idea che il mondo abbia un dovere nei confronti della poesia, o di qualsiasi altra arte. La poesia non è un civilizzatore, piuttosto il contrario, perché la grande poesia fa appello agli istinti più primitivi; non è necessariamente un moralizzatore; non migliora necessariamente il carattere di una persona, non insegna nemmeno le buone maniere. È una bellissima opera della natura, come un'aquila o un'alba alta. Non gli devi alcun obbligo. Se ti piace, ascoltala; se no, lasciala stare». Citazione tratta dal saggio Poetry, Gongorism and a Thousand Years pubblicato sul New York Times Sunday Magazine il 18 gennaio 1948.

Le opere di Jeffers trasudano la sterminata erudizione dell'autore e l'eclettismo degli studi. Vi convergono l'educazione religiosa impartita dal padre, l'amore per la letteratura e la filosofia, le conoscenze linguistiche, gli interessi in vari campi scientifici (astronomia, medicina, fisica, biologia). Jeffers scrive versi crudi e intensi, evocativi e intransigenti, che sembrano scolpiti sulla pagina. Le fonti di ispirazione a cui attinge sono molteplici: dalle storie bibliche agli antichi miti, dal teatro classico a Emerson e Wordsworth, da Lucrezio ed Eraclito a Nietzsche e Schopenhauer.

Pure non dobbiamo dimenticare le profonde suggestioni derivanti dalla bellezza incontaminata del Big Sur, tra l'oceano e le vette retrostanti. L'alta costa col suo susseguirsi di spiagge deserte e scogliere di granito sferzate dalle tempeste del Pacifico, le foreste di sequoie centenarie e cipressi marini, i canyon e le montagne, non costituiscono solo lo sfondo delle opere di Jeffers, in molti casi assumono un ruolo da protagonista. I versi sgorgano potenti: «Nella luce viola, pesante di sequoia, i pendii scendono verso il mare, / convessità a capofitto della foresta, attirati insieme verso il ripido burrone. Poi l'Oceano / come una grande pietra che qualcuno ha tagliato a spigolo vivo e levigato fino a risplendere. Al di là, la fontana / e fornace di luce incredibile che sgorga dal sole sommerso» (Apologia per i brutti sogni, 1926).

Tor House è il nido, il rifugio dove mettere al sicuro Una e i due figli gemelli, Donnan e Garth, conducendo una vita spartana e rispettosa della natura. Un simbolo ancestrale, fulcro della vita artistica dell'autore che riversò in liriche meditative, poemi narrativi in versi liberi e adattamenti di tragedie greche una personalissima filosofia, da lui definita «disumanesimo» (inhumanism). Jeffers percepì l'influenza negativa della civiltà e della tecnologia, e si allontanò più che poté dall'egocentrismo dell'uomo moderno irrispettoso verso il Creato. Nelle sue opere principali (Roan stallion, Tamar and other poems, 1925; The Women at Point Sur, 1927; Cawdor, 1928; Thurso's Landing, 1932; La bipenne e altre poesie, 1948; Campofame, 1954) vanno in scena violenze, degrado morale, incesti, morti crudeli. La trasgressione spezza l'armonia del cosmo, l'asprezza della natura si riverbera nel racconto della tragedia, mentre la tragedia stessa esalta il paesaggio e porta a compimento il ritorno all'equilibrio, ponendo nuove basi. In certi momenti viene da pensare che sia la stessa sublime bellezza della natura, opera mirabile di Dio, a spingere l'uomo alla crudeltà, mentre la civiltà occidentale declina travolta dall'egoismo, dalle guerre, dalla mercificazione. In realtà è il solipsismo esasperato che spinge l'uomo ad abusare dell'ambiente degradandolo in modo irreversibile. Anziché limitarsi a trasformare la terra, la distrugge: ciò condannerà la razza umana all'estinzione. In quel momento, tuttavia, l'ordine cosmico avrà semplicemente cambiato forma, non perso valore, ci dice Jeffers.

A che scopo, allora, seguitare a comporre, dato che anche il poeta è destinato a perire? Perché i suoi versi, benché moniti inutili, sono una preghiera per la salvezza della

terra e delle sue creature, incluso l'uomo. «La bellezza delle cose era nata prima degli occhi e bastava a se stessa; la bellezza straziante / rimarrà quando non ci sarà un cuore da spezzare per lei» (Credo, 1926 circa).

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