Economia

«Sì ai rigassificatori, ma chi trova il gas?»

«La crisi dello scorso inverno era facilmente prevedibile»

Paolo Giovanelli

da Milano

I quattro-cinque nuovi rigassificatori che dovrebbero essere costruiti entro il 2010-2011 sono importanti per superare la mancanza di gas. Ma resta un problema: chi trova la materia prima? Perché i rigassificatori da soli serviranno a poco se non c’è qualcuno che ci vende il metano. Umberto Quadrino, ad di Edison, butta un sasso in più nello stagno tutt’altro che tranquillo della crisi del settore.
Innanzitutto, diamo una valutazione della «cabina di regia» che si è tenuta mercoledì.
«Il governo si sta occupando seriamente della capacità dell’Italia di importare più gas e questo non può che essere un bene. Il nostro Paese dal 2002 al 2005 è passato da un consumo di 70 miliardi di metri cubi l’anno a 86: 16 miliardi in più in tre anni. Un aumento abnorme, ma facilmente prevedibile data la costruzione delle nuove centrali turbogas: per farle ci vogliono tre anni e per ottenere i permessi ce ne vogliono altrettanti. Quindi non si può dire che la crescita dei consumi sia stata una sorpresa».
Colpa dell’Eni che non ha accresciuto la capacità, allora?
«Eni ha dei tetti alle quote di mercato in Italia: naturale che abbia tirato i remi in barca nella costruzione di nuova capacità di importazione, lasciando ad altri l’onere di provarci. Ma in questo settore un mercato non si inventa da un giorno all’altro. Edison è l’unica società che sta costruendo il terminale al largo di Rovigo, che sarà finito entro il 2008».
A proposito di mercato: c’è una bella diatriba. Perché l’Authority vuole che l’Eni ceda Snam Rete Gas, se Bruxelles chiede solo una separazione societaria? Vuole creare un nuovo attore nelle infrastrutture?
«Vero, l’Ue sancisce solo la separazione societaria e gestionale tra reti e operatori e la correttezza del trasporto del gas in Italia è fuori discussione. Certo una Snam totalmente indipendente potrebbe giocare un ruolo importante sul mercato delle infrastrutture internazionali».
Sembra che gli entusiasmi iniziali per un’Italia «hub» del gas si stiano affievolendo.
«Le decisioni di importazione già prese fino al 2010 riguardano Rovigo che darà 8 miliardi di metri cubi e il potenziamento degli attuali gasdotti da Russia e Algeria che ne aggiungerà altri dodici. In tutto a breve avremo 20 miliardi di metri cubi in più che permetteranno di superare l’attuale emergenza e di fronteggiare la crescita della domanda al 2010».
E poi?
«Per il dopo 2010 ci sono le domande per i sette rigassificatori, anche se qualcuno potrebbe essere pronto prima, per i quali il governo si è impegnato a dare una risposta entro fine anno. Poi vanno aggiunti due gasdotti, Igi e Galsi, in cui siamo presenti nel capitale, che uniranno la Grecia con la Puglia e l’Algeria con la Sardegna e la Toscana. I gasdotti porteranno rispettivamente 10 e 8 miliardi di metri cubi annui aggiuntivi (per il Galsi, che porterà il metano per la prima volta in Sardegna, la quota Edison sarà di due miliardi di metri cubi) mentre per i terminali la capacità è mediamente 8 miliardi ciascuno. Se se ne faranno tre oltre a Rovigo parliamo di 32 miliardi, di 40 miliardi se se ne costruiranno quattro, quindi la capacità aggiuntiva post 2010 è sulla carta imponente e sarà complessivamente fra 50 e 60 miliardi di metri cubi».
Insomma: nel 2008-2010 andiamo in pari. Poi dovremmo avere più gas di quanto ci serve. E quindi l’hub si farà.
«Vero, ma a due condizioni. La prima che il gas sia competitivo con i prezzi internazionali. La seconda che sia disponibile. Per quanto riguarda la competitività non ha molto senso fare un rigassificatore al Sud Italia con l’obiettivo di esportare nel Nord Europa perché questi Paesi possono loro stessi costruire un terminale e risparmiare il costo del trasporto via terra. Inoltre non bisogna dare per scontato che esista gas liquefatto in abbondanza: oggi è vero il contrario. In Europa, soprattutto in Spagna, esistono rigassificatori largamente sottoutilizzati perchè i Paesi esportatori preferiscono vendere negli Stati Uniti dove i prezzi sono molto più alti. Occorre quindi investire lungo tutta la catena: impianti di liquefazione, contratti di acquisto di lungo termine, navi metaniere per il trasporto e terminali di rigassificazione».
Il vostro azionista Aem punta a un’alleanza con Asm. Come la vedete? E il problema Edipower?
«Da un lato rafforza un nostro azionista, il che è positivo. E quanto al business noi abbiamo le intese con le municipalizzate nel nostro dna. Quando abbiamo acquistato Edipower abbiamo rispettato le clausole contrattuali, che vietavano la presenza di soggetti pubblici oltre il 30% del capitale e la vendita a terzi per cinque anni.

Ora è cambiato il controllo di Edison, vero, ma, ammesso che un problema esista, riguarderebbe i suoi azionisti».

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