«Sì, c’è il rischio fondamentalista Chiudiamo le moschee illegali»

È da poco la prima firma islamica dell’Osservatore romano. Un simbolo. Khaled Fouad Allam, sociologo e politico algerino, docente di storia e istituzioni del mondo musulmano, definisce la situazione di oggi «una giungla», in cui «lo Stato deve intervenire per controllare che le moschee siano davvero luoghi di culto, e non luoghi di ritrovo per chi fomenta il terrorismo».
Si può davvero impedire la costruzione di nuove moschee, come chiede la Lega?
«Giuridicamente direi che è impossibile, perché la Costituzione garantisce la libertà di culto. Non per questo, però, si può nascondere il problema della relazione fra moschee e terrorismo di matrice islamica. Quello che è successo a Mumbai nei giorni scorsi ne è la prova. La soluzione però non è vietare».
E qual è?
«Il Vaticano ha dato una risposta equilibrata. Lo Stato deve esercitare il controllo: le moschee devono essere luoghi di culto, non luoghi di ritrovo per fondamentalisti. Il divieto però può essere pericoloso, perché fa di tutta l’erba un fascio. Per fortuna non tutti i musulmani sono terroristi».
È possibile controllare le moschee?
«Certo. I servizi di sicurezza e i magistrati hanno dimostrato di avere tutti gli strumenti e l’esperienza per farlo. Ma il punto fondamentale è un altro: bisogna lavorare, a livello istituzionale, per razionalizzare la formazione del personale di culto e degli imam. Quando ero deputato proposi un albo degli imam, in collaborazione col ministero dell’Interno».
Come potrebbe funzionare?
«In Francia c’è lo stesso problema. L’Istituto cattolico di Parigi e la grande moschea della capitale hanno dato vita a un corso per formare gli imam francesi: non vedo perché non si possa esportare questa esperienza anche in Italia, ad esempio con un accordo fra la Gregoriana e la grande moschea di Roma».
Quindi il problema delle moschee esiste?
«Esiste il problema di chi fa che cosa, e da dove viene. Perciò è cruciale il ruolo dell’imam».
C’è chi accusa: nei centri islamici «si fa di tutto». È vero?
«Oggi è una giungla. È necessario creare un’abilitazione per le moschee. Le istituzioni devono controllare chi promuove la pace e il culto della religione e chi usa questi luoghi per fare il contrario. La moratoria è inutile: serve una selezione di centri abilitati».
Però, quando lo Stato è intervenuto per chiudere centri islamici, ci sono sempre state polemiche. Era giusto agire?
«Certo, se ci sono prove di attività illegali. Anzi, lo Stato ha il dovere di intervenire. Devono esserci solo moschee regolari. Per l’Europa è una sfida inedita: va affrontata con strumenti nuovi».
Le polemiche di questi giorni sono solo pregiudizi?
«È da molti anni che esiste un allarme reale sull’islam. Non si può negare che, anche in Italia, i giudici abbiano sventato più volte le azioni dei terroristi. Ma non bisogna cadere nella trappola dei fondamentalisti: dobbiamo aiutare i musulmani a essere protagonisti dell’islam italiano. Così si distingue davvero chi fa che cosa. Lavoro da anni su questi temi: la mia collaborazione con l’Osservatore romano è un esempio importante».
Nella costruzione di nuove moschee esiste una percentuale di rischio?
«È difficile quantificare. Questo è un terrorismo di terza generazione: non punta a rivendicare ma a destabilizzare, sul piano globale. Anche se ci fossero soltanto cinquemila musulmani, ne basterebbero due per creare un’ondata di choc e di terrore.

Una percentuale di rischio esiste, non si può negare. Ma non bisogna cedere ai terroristi: bisogna arginarli. Lo Stato ha il dovere di intervenire se scopre irregolarità o attività illegali. E deve intervenire nella formazione degli imam».

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