S’invertono le parti: il Pdl adesso gode e il Pd minaccia la crisi

Bersani assediato da Cgil e Idv su giustizia e lavoro protesta col premier

S’invertono le parti:  il Pdl adesso gode  e il Pd minaccia la crisi
Le Sliding doors dell’ultima settimana confermano quanto delicato sia l’equilibrio su cui si sta tenendo ormai da due mesi non solo la maggioranza ma anche il governo. Porte girevoli, appunto. Con il Pdl che fino a ieri era sugli scudi, pronto ad affondare i colpi sull’esecutivo e con lo stesso Berlusconi che in più di un’occasione non era stato troppo tenero verso Monti. Dall’altro lato della barricata – seppure nella stessa inattesa maggioranza – Terzo polo e Pd a criticare gli «eccessi» del Pdl e invocare «il senso di responsabilità» in nome dell’interesse del Paese.

Fin qui, il copione degli ultimi due mesi. Per alcuni versi, anche un po’ noioso. Ma è bastato il voto di giovedì alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati per ribaltare il tavolo, col Pdl a predicare cautela in nome del «pieno sostegno» a Monti e il Pd quasi allo sbando. Al punto che Bersani che s’avventurava in Transatlantico a definire «una cazzata» quella della maggioranza trasversale mentre la matematica – e nelle ore successive pure i suoi colleghi di partito – dimostrava senza incertezze che quasi 60 voti a favore della responsabilità delle toghe sono arrivati da Pd e Terzo polo.

Lo scivolone ha fatto rumore. Anche perché arriva mentre per il Partito democratico si prospetta un’agenda piuttosto spinosa. Non tanto per il voto del Senato che verso fine febbraio sarà chiamato a pronunciarsi di nuovo sulla responsabilità civile dei magistrati, quanto per l’inesorabile avvicinarsi del dibattito sull’articolo 18.

Insomma, dopo aver pagato il Pdl lo scotto delle liberalizzazioni ora sarà il Pd a doversela vedere con la riforma del lavoro. E se prima era una cospicua fetta di via dell’Umiltà a lanciare segnali d’insofferenza, oggi la partita è ribaltata. Non solo venerdì scorso Bersani ha ripetuto al capo dello Stato che il tema non deve essere affrontato, pena il rischio della tenuta del governo visto che il Pd è stretto da una parte da Di Pietro e dall’altra dalla Cgil. Ma ieri è scesa in campo anche la Bindi che del Pd è il presidente. Con un messaggio inequivocabile. «Monti stia attento, sosteniamo il governo – dice intervistata da L’Unità – ma non a qualsiasi costo». E ancora: «Sull’articolo 18 esecutivo ideologico. No agli aut aut». Però è lei la prima a lanciarli: «Se al Senato non si cambia la norma sui giudici allora non si va avanti». L’avesse fatta La Russa un’intervista con toni simili nei confronti di Monti, le agenzie avrebbero battuto tutto il giorno gli inviti alla responsabilità di Pd e Terzo polo. Questione di Sliding doors.

Così, ora tocca al Pd fare la voce grossa. Mentre il Pdl può fermarsi ai box e cercare di fare chiarezza al suo interno, perché seppure il tavolo s’è ribaltato le insofferenze sono comunque sotto il tappeto. Con qualche complicazione in Lombardia dove il rimpasto di giunta porterà – forse già domani - la presidente della commissione Cultura della Camera Valentina Aprea e la senatrice Ombretta Colli a lasciare anticipatamente il Parlamento per sbarcare al Pirellone (subentreranno Simone Crolla e Giacinto Boldrini). Il palcoscenico, però, nei prossimi giorni sarà tutto per un Bersani che sulla riforma del mercato del lavoro è accerchiato. Da una parte Di Pietro, che ieri accusava Monti di «occupare la tv» e «dire bugie sull’articolo 18». Dall’altra la Cgil che si prepara a dare battaglia. Già «la riforma delle pensioni ha moltiplicato i problemi del lavoro e prodotto ingiuste violenze», spiegava ieri la Camusso lasciando intendere che la Cgil non accetterà una riforma del lavoro «non concordata».

Con buona pace di Bersani. E con qualche preoccupazione per Monti che con il passare delle settimane si vede a gestire una maggioranza che sembra sempre più una coperta troppo corta. O resta scoperto il Pdl o resta scoperto il Pd.

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