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Il sì della Lettonia fa ripartire la Carta Barroso: «Hanno capito le mie parole»

Il Paese baltico ha approvato la Costituzione in Parlamento con 71 sì e 5 no

Il sì della Lettonia fa ripartire la Carta Barroso: «Hanno capito le mie parole»

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Bruxelles

Due-tre giorni di incubo. Poi, ieri, un sospiro di sollievo le istituzioni comunitarie l’hanno potuto tirare. L’annuncio della ratifica parlamentare lèttone (71 sì contro 5 no), per quanto scontato, ha risollevato gli spiriti. Ma soprattutto il fatto che il ministro per gli Affari comunitari britannico Douglas Alexander, abbia fatto sapere che il suo Paese non dichiarerà terminato il processo di verifica in attesa del summit di metà giugno, ha schiuso le porte alla speranza. «Il mio messaggio è stato compreso» ha gongolato Barroso che la sera prima si era speso più d’una volta contro «atti unilaterali» da parte di alcuni dei soci.
A questo punto pare scontato che Straw, che pure continua a esprimere «profonda preoccupazione per il futuro della Ue», quando si recherà a riferire lunedì alla Camera dei Comuni non dovrebbe annunciare la «morte» della Costituzione, come sembrava certo. Londra, anche perché Blair non vuole passare per il killer della carta, non ha certo rinunciato all’idea di seppellire definitivamente il proprio referendum, ma la strategia messa a punto passa nel chiedere a Parigi, e a questo punto anche all’Aia, cosa pensino di fare. Insomma Blair e i suoi vogliono che siano Chirac e Balkenende, nel Consiglio dei capi di Stato e di governo del 16 e 17, ad ammettere che i loro Paesi non possono aderire, per poi chiedere la fine delle ratifiche. Sarà a quel punto che si aprirà la partita vera. E sulla linea di Blair cominciano a disporsi in tanti. Si sapeva dei polacchi e di alcuni baltici. Di ieri le affermazioni del premier svedese Goran Persson per il quale «sarebbe stupido e pericoloso ignorare i no emersi dalle urne. Se Francia e Olanda vogliono rinegoziare - ha osservato ancora - è logico che a quel punto la via delle ratifiche al trattato com’è, devono essere interrotte!».
Barroso, Juncker (che comincia a essere preoccupato per il referendum programmato in Lussemburgo per luglio, visto che il sì è calato di 13 punti in pochi giorni e il no tocca ora quota 32%) e il presidente dell’Europarlamento Borrell continuano invece a battere il tasto del necessario pronunciamento di tutti. Schröder s’aggiunge al coro e intanto studia una strategia. Ieri ha visto Juncker in Lussemburgo, domani incontra Chirac a Berlino. E la prossima settimana vedrà Blair. Preme il cancelliere tedesco per non modificare di una virgola il calendario a suo tempo definito, così come dai suoi uffici giunge la conferma della necessità di imbarcare anche la Turchia nell’Ue. Solo che Cdu e Csu, l’opposizione interna, lo incalzano forti del vantaggio che i sondaggi danno loro in vista delle Politiche di settembre. Chiarendo d’esser d’accordo con le ratifiche ma a patto che si tenga conto dei segnali negativi, e offrendo ad Ankara solo un partenariato privilegiato ma non l’adesione.
In questo quadro frastagliato, dove non s’intravede per ora la fine del tunnel salvo il crescere dell’ipotesi di un blocco dell’allargamento (ne ha fatto cenno ieri anche il ministro degli Esteri spagnolo Moratinos), s’inserisce anche il Parlamento europeo che ieri ha riunito in sessione straordinaria la Commissione affari costituzionali per fare il punto. D’interessante c’è stata la relazione del commissario Margot Wallstrom (la svedese a capo di relazioni istituzionali e strategia di comunicazione) che ha fornito i dati di Eurobarometro con cui si spiegano i perché delle bocciature: in Francia i no sono piovuti per la difficile situazione economica, il testo «troppo liberale» della Costituzione, la volontà di rinegoziarla e il timore dell’ingresso dei turchi nella Ue. Nei Paesi Bassi a pesare nel giudizio negativo sono stati invece la poca influenza olandese nella Comunità, il rischio di perdere la propria identità e l’euro. Di basso livello, e quasi demagogico, invece, il dibattito in aula (dove non c’era neanche uno dei 77 europarlamentari italiani).

Non doveva accadere molto di dissimile quando a Bisanzio, coi turchi alle porte - come qualcuno ritiene ancor oggi accada - gli ultimi senatori disputavano sul sesso degli angeli.

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