Roma - Alla Camera ieri non c’era solo lui, ma i riflettori non si sono spostati nemmeno un attimo da Giulio Tremonti. Apparentemente con scarso successo visto che il ministro dell’Economia ha schivato per tutta la giornata cronisti e peones e non è intervenuto pubblicamente nemmeno nell’Aula di Montecitorio per il rush finale della manovra.
Per il ministro dell’Economia fanno fede le interviste e ieri c’era quella rilasciata al Wall Street Journal per rassicurare i mercati mondiali sulla tenuta dei conti italiani e rivendicare l’approvazione in tempi velocissimi del decreto. La politica nazionale ha fatto un passo indietro, si è rifatta viva solo per attenuare i tagli anti casta, ma la partita che si è giocata in questi giorni, e che continuerà anche questo fine settimana, è di quelle che la classe dirigente del Belpaese non ama e che, invece, piacciono molto a Tremonti. Istituzioni italiane di fronte agli investitori internazionali, impegni con l’Europa rispettati e istituzioni di Bruxelles da bacchettare: «Avanti o facciamo la fine del Titanic».
Partita talmente internazionale e tremontiana che ieri hanno fatto da sfondo persino gli incontri e i vertici ai quali ha partecipato il ministro. Quello con il premier Silvio Berlusconi e il leader della Lega Nord Umberto Bossi. Quello con il presidente della Camera Gianfranco Fini, che gli ha offerto un caffè e ha motivato: «Vista la situazione del governo». Poi lo scambio di battute in Aula con il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini.
Ai giornalisti, e non solo a loro, premeva solo sapere se il ministro dell’Economia è preoccupato per la riapertura delle borse lunedì mattina. Quando, a bocce ferme, i mercati decideranno se la manovra è sufficiente oppure no.
Tentativi andati tutti a vuoto. O quasi. Perché a un certo punto il ministro ha risposto suggerendo ai cronisti due letture di Georges Simenon. Tre camere a Manhattan e Il Presidente. «Bellissimo», ha detto parlando dell’ultimo libro. Le sinossi spiegano che si tratta della storia di un uomo anziano e molto potente, a un passo da diventare presidente, che viene controllato perché qualcuno lo ritiene pericoloso. Facile trarre conclusioni da retroscenisti e vedere dietro l’uomo potente il premier o lo stesso Tremonti che i retroscena danno in corsa un giorno per un esecutivo di salvezza nazionale, un altro per un governo di transizione e un altro ancora per la guida del centrosinistra. Ma il rischio è di fare lo stesso errore di chi ha tradotto la frase sul Titanic in chiave italiana, mentre si trattava del vecchio ragionamento sulla politica europea che deve cambiare e agire se non vuole naufragare.
Anche l’altro libro dello scrittore belga si presta a una lettura tutta interna alla maggioranza. I protagonisti sono «così tenacemente avvinti l'uno all'altro che la sola idea della separazione risulta loro intollerabile».
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