«Sì, noi siamo dei mecenati da duecento milioni all’anno»

Domanda da un milione di euro: una fondazione bancaria può essere considerata un «mecenate»? No, se pensiamo alla tradizionale figura del principe illuminato che riuniva gli artisti nella sua corte, oppure al capitano d'industria con la passione per la grande lirica. Sì, se consideriamo che in questo momento proprio le fondazioni bancarie rappresentano un elemento chiave nel rapporto tra privato e pubblico, ovvero una delle risorse fondamentali non soltanto per il mondo della cultura ma anche per il cosiddetto terzo settore. Tra tutte, Fondazione Cariplo è certamente la realtà che da vent'anni a questa parte ha fatto di più, rendendo programmatico e statutario il finanziamento a enti e progetti sul patrimonio artistico, la ricerca scientifica, l'ambiente e il volontariato. Quasi 200 milioni di euro all'anno per 1.100 progetti finanziati dalla fondazione. «Per noi mantenere alto il livello delle erogazioni alla cultura e alla ricerca, significa tentare di dare una risposta ai bisogni emergenti anche in un periodo di crisi internazionale che mette a dura prova il tessuto sociale del nostro Paese», dice il presidente Giuseppe Guzzetti, «e negli ultimi anni, al centro dei progetti a cui la Fondazione dà il proprio sostegno c'è l'educazione ambientale nelle scuole, il risparmio energetico, le metodologie innovative per la conservazione del patrimonio artistico, il teatro, la musica, la creatività giovanile e le periferie». Ma è corretto definire le fondazioni bancarie i veri mecenati del Duemila? Anzitutto va chiarito un equivoco diffuso: Fondazione Cariplo è un ente ormai da 20 anni totalmente svincolato dall'istituto bancario. Ha un proprio patrimonio che ammonta a otto miliardi di euro che «attraverso una prudente politica di investimenti azionari ci consente di stanziare, appunto, 200 milioni all'anno in cultura, ricerca scientifica e attività filantropiche». Duecento milioni all'anno sono una bella cifra. Se non è mecenatismo cos'è? «E' un grande mecenatismo che ha caratteristiche assolutamente più moderne rispetto allo stereotipo tradizionale. Chi è in fondo il classico mecenate? Oggi come allora è un imprenditore innamorato di un argomento, dalla lirica all'arte al volontariato, che decide anche per un ritorno di immagine di finanziare un ente in difficoltà. Il nostro metodo è completamente diverso, quasi opposto». Gli enti che intendono accedere ai finanziamenti - spiegano i vertici della Fondazione- partecipano a dei veri e propri bandi di concorso che vengono pubblicati online. I progetti vengono inviati in forma anonima a comitati scientifici internazionali che li valutano esclusivamente per la loro qualità. «Ovvero, non ci innamoriamo di alcun tema ma il nostro motto è: diamo credito ai progetti migliori. Altra differenza: in genere il filantropo è colui che mette a disposizione una parte del proprio patrimonio per risolvere un problema esistente sul territorio. Il nostro metodo, invece, i problemi tenta di. prevenirli". Su queste pagine, nei giorni scorsi, imprenditori e manager hanno affrontato il problema della gestione dei grandi enti pubblici milanesi, come la Scala. Anche Fondazione Cariplo, destina ogni anno circa un quarto dei famosi 200 milioni di euro per enti istituzionali. Con la Scala, ad esempio, il contributo ammonta a circa sei milioni all'anno. Per i restauri del Castello Sforzesco e di Palazzo Reale sono stati erogati finanziamenti per 25 milioni in cinque anni. «Ma anche in questo caso applichiamo un metodo moderno che non si limita al finanziamento tout court del patrimonio degradato. Quello che conta è valutare se su quel patrimonio esiste o meno un progetto che faccia da volano all'economia». Il presidente Guzzetti ha ad esempio deciso lo stanziamento di 24 milioni di euro per la nascita di sei distretti culturali, dal mantovano alla Lomellina. «Cinque milioni andranno per il recupero delle regge dei Gonzaga, ma ciò a fronte di un business plan che prevede il rilancio dell'area e del turismo culturale. Anche per il Castello Sforzesco abbiamo applicato la stessa logica: finanziamo il restauro di un sito individuato come il luogo simbolo di accoglienza nell'Expo 2015» . Ma che ritorno ha una fondazione bancaria da tutti questi ingenti investimenti? «Rispetto a una fondazione d'impresa -spiegano i vertici- il ritorno è, sulla scia delle grandi fondazioni americane, nell'obbiettivo della sussidiarietà, ovvero la copertura delle grandi lacune del territorio.

Ciò viene applicato anche nei nostri progetti di housing sociale: da qui ai prossimi anni faremo sorgere a Milano 800 appartamenti ad affitti calmierati per le famiglie in difficoltà, studenti e giovani coppie. Lo abbiamo già fatto a Villaggio Barona e al Figino».

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