Le doglie sono durate un tempo infinito, ma alla fine il bambino è venuto alla luce: dopo la firma dell'eurofobo presidente ceco Klaus - che ha espresso la sua contrarietà fino all'ultimo momento ma, dopo la luce verde della Corte costituzionale, non aveva più armi per resistere - il Trattato di Lisbona è pronto per entrare in vigore forse già il 1° dicembre. L'Unione europea fa così quell'ulteriore passo avanti che gli elettori francesi e olandesi avevano impedito cinque anni fa bocciando la Costituzione e che quelli irlandesi hanno ulteriormente ritardato di un anno approvando il compromesso di Lisbona solo in seconda battuta. Perché il Trattato produca tutti i suoi effetti ci vorrà del tempo, ma le due novità più vistose saranno introdotte immediatamente: la nomina di un presidente dell'Unione, che rimarrà in carica per due anni e mezzo (rinnovabili) e dirigerà i lavori del Consiglio europeo, e di un ministro degli Esteri che riunirà in sé le funzioni di Alto rappresentante per la politica estera e di difesa, attualmente ricoperta dallo spagnolo Solana, di Commissario per gli Affari esterni, che era dell'austriaca Benita Ferrero-Waldner e di vicepresidente della Commissione. La scelta dovrà essere compiuta nei prossimi giorni, in base a una specie di manuale Cencelli europeo quasi più complicato del nostro.
Per la carica di presidente, il favorito è stato a lungo l'ex premier britannico Tony Blair, ma la sua candidatura è caduta per tre ragioni: primo, è un socialista (sia pure sui generis) in un'Europa oggi dominata dal centrodestra e non era gradito ai Tories che vinceranno quasi certamente le prossime elezioni nel suo Paese; secondo, proviene da una nazione che non fa parte né dell'euro né di Schengen e ha un elettorato irriducibilmente euroscettico; terzo - e forse più importante - ha una personalità troppo spiccata per non fare ombra ai capi di Stato e di governo delle nazioni guida, Francia e Germania. Sembra, perciò, che questi si siano accordati su un autentico Carneade, che evidentemente Sarkozy e la Merkel ritengono di potere controllare meglio: il premier belga Herman Van Rompuy, 62 anni, democristiano fiammingo (o, in alternativa, l'olandese Balkenende).
Una volta assegnata la presidenza a un popolare proveniente da uno dei sei Paesi fondatori, il ministero degli Esteri dovrebbe toccare a un socialista appartenente al secondo gruppo di nazioni entrate a far parte dellUe: il favorito è perciò il giovane titolare del Foreign Office David Miliband o, in alternativa, e in omaggio alle quote rosa più che alla competenza, la commissaria britannica al Commercio Lady Ashton. In questa teorica ripartizione delle spoglie, sembrano avere poche possibilità la francese Guigou (piace poco a Sarkozy e ancora meno alla Merkel) e il nostro D'Alema, appoggiato solo tiepidamente da un governo italiano che punta invece alla presidenza dell'Ecofin per Tremonti. Ma, viste certe preclusioni, un colpo di scena a favore del nostro rappresentante rimane possibile.
La soluzione che si va delineando rispetterebbe anche il Cencelli geografico: avremmo cioè un presidente di Commissione del Sud (il portoghese Barroso) un presidente del Consiglio centro-europeo, un ministro degli Esteri nordico e un presidente del Parlamento dell'Est (il polacco Busek): quello che Bossi chiamerebbe la «quadra» perfetta.
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