Dobbiamo essere orgogliosi: abbiamo una nazionale bellissima. Con il nostro gioco stiamo nobilitando un Mondiale generalmente abbastanza scialbo e privo di grandi individualità. Noi abbiamo il gruppo, questo gruppo che Lippi ha costruito con pazienza e sagacia. Niente avviene per caso. Anche quando Materazzi entra al posto di Nesta infortunato, decidendo la partita con i ceki, la sorte c'entra poco: piuttosto, è la dimostrazione che il nostro gruppo è composto da 23 titolari, tutti ugualmente pronti al momento opportuno, tutti in grado di risolvere la partita. Altro che fortuna. Come dice Lippi, reagendo sdegnato a Tardelli nel dopopartita con l'Australia, «andiamoci piano a parlare di fortuna». L'ha spiegato bene, il citì, come piuttosto siamo bersagliati dal destino: l'infortunio di Totti, l'infortunio di Nesta, l'infortunio di Gattuso, tutti accidenti che hanno accompagnato il nostro inverno, ai quali però la forza del gruppo ha saputo opporsi valorosamente, perché questo gruppo ha un'enorme tensione morale e un carattere d'acciaio.
Non parliamo di questa fase finale. Prima un girone tremendo, con Ghana, Usa e Cekia, sicuramente squadre che non tutti considerano nel modo adeguato, ma delle quali noi abbiamo intuito subito la forza e le insidie. Quindi, superata questa cayenna, gli ottavi: ecco l'Australia dei forsennati che corrono come matti dall'inizio alla fine. Se in realtà contro di noi andavano alla velocità dei palombari, è soltanto perché Lippi aveva preparato il match da grande stratega, imponendo agli azzurri di aspettare gli avversari nella nostra metà campo, senza lasciare spazi alle incursioni. Lippi sapeva benissimo che prima o poi il gol l'avremmo fatto noi: a questi livelli non bisogna avere fretta, non bisogna farsi prendere dalla frenesia, bisogna solo restare lucidi e pazientare. Difatti, tutto come previsto: al 94', Grosso intuisce la possibilità di risolvere il match e si butta in avanti, costringendo l'arbitro a fischiare il rigore. Poi, che dire: la resurrezione di Totti. Un campione che tanti giornalisti (per la lista dei nomi, rivolgersi allo stesso) hanno perfidamente massacrato, ma che con un semplice calcio dal dischetto dimostra a tutti quanto sia leader, quanto sia di personalità, quanto sia determinante e insostituibile in questo magnifico gruppo. Se poi la grande stampa internazionale ci deride, dal Clarin argentino che titola «L'Italia vince con un regalo dell'arbitro» al parigino Le Monde che titola «Furto all'italiana: l'arbitro cade nella trappola», ecco, non facciamoci caso: lo sappiamo bene, all'estero ce l'hanno tutti con noi.
Piuttosto, andiamo avanti per la nostra strada. Sempre così, contro tutto e contro tutti. Più che altro contro l'ostinazione di questa malasorte, che adesso ci oppone la terribile Ucraina, così già definita dalla Gazzetta: «Debuttante sfrontata. Carattere di ferro. Non c'è solo Sheva: occhio a Voronin e Rebrov». Siamo consapevoli: perderemo il sonno per Voronin e Rebrov, rimpiangeremo di non avere tra i piedi Argentina o Brasile, perché noi notoriamente diamo il meglio con i più blasonati, eppure alla fine il gruppo supererà anche questo accanimento del destino, essendo «bravo e umile», secondo l'ammirata definizione del suo stesso citì.
Grande Italia, Brava Italia: altro non resta da dire, allo stato delle cose. Per non farsi insultare da Lippi, per non turbare Totti, per piacere e compiacere, in questa beata nazione i giornalisti devono raccontare solo belle favole.
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