Il «sì» tedesco al fondo salva-Stati fa correre le Borse

Giù dalle barricate: per salutare il via libera da parte del Parlamento tedesco al rafforzamento del fondo salva-Stati (Efsf), ma anche l’inaspettata crescita del Pil Usa nel terzo trimestre, un +1,3% che stempera i timori di recessione. Nel giorno in cui la troika formata dagli esperti di Ue, Bce e Fondo monetario internazionale ha iniziato l’ennesima missione di verifica dei conti della Grecia in un clima tesissimo, con sette ministeri occupati da centinaia di dipendenti pubblici, i mercati finanziari hanno trovato ieri nuovi spunti per risalire la china e mettere a segno rialzi compresi tra l’1% di Parigi e il 2% di Milano, la migliore.
Del resto, l’esito del voto tedesco non era del tutto scontato. Le cinque batoste elettorali rimediate dall’inizio dell’anno in vari Länder dalla cancelliera, Angela Merkel, rischiavano di rendere delicato il passaggio alla Camera bassa del dossier Efsf. Nonostante i timori della vigilia, la Merkel ha invece incassato una doppia vittoria: dalla sua maggioranza, che ha approvato la legge con 315 voti a favore (ne bastavano 311), e anche dai 108 deputati dell’opposizione che hanno fatto altrettanto. È il segno che, al di là delle coloriture politiche, in Germania il partito dell’intransigenza si trova in minoranza. Nella faticosa ricerca di una soluzione alla crisi del debito, quanto accaduto ieri al Bundestag non va sottovalutato. Così come l’apertura verso un ulteriore potenziamento del paracadute anti-crisi espressa dal solitamente rigidissimo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble. Non ora però, ha precisato Schaeuble, perché tutte le linee guida da applicare all’Efsf allargato non sono ancora state «definitivamente negoziate».
I governi di Eurolandia sono comunque al lavoro per implementare un meccanismo in grado di mettere sotto protezione sia i Paesi in difficoltà, sia le banche più esposte nei confronti della Grecia. L’ipotesi finora più accreditata prevede l’innalzamento fino a sei-sette volte dell’attuale dotazione del fondo salva-Stati, pari a 440 miliardi (di cui 211 di competenza di Berlino dopo il voto di ieri), attraverso una tipica operazione di leva finanziaria. In salsa europea, è il piano Tarp con cui l’America ha salvato il proprio sistema creditizio.
Prima di irrobustire l’Efsf, l’Eurozona dovrà però gestire il caso Grecia. Il giudizio degli 007 di Ue, Bce e Fmi sullo stato dell’arte del risanamento ellenico sarà determinante ai fini dello sblocco dell’ultima tranche di aiuti da 8 miliardi. Schaeuble ha spiegato che l’Eurogruppo del 13 ottobre sarà dedicato agli aiuti. Il tempo non è dalla parte del premier greco, George Papandreou (che oggi incontrerà il presidente francese, Nicolas Sarkozy), ma gli hedge fund stanno scommettendo su un possibile lieto fine comprando sirtaki-bond, scambiati per meno di 36 centesimi su ogni euro di valore. Nelle mani dei fondi speculativi ci sarebbero titoli per 40 miliardi: una cifra destinata a raddoppiare se Atene eviterà il default.
Anche le Borse sembrano credere all’happy end. A Piazza Affari, grazie al 2% di ieri, il Ftse-Mib ha riagguantato i 15mila punti, spinto ancora una volta dai titoli bancari (su tutti, Unicredit e Intesa Sanpaolo, in rialzo di circa sei punti percentuali). A parte le sofferenze della Borsa di Atene (-1,53%) e il consueto andamento eccentrico di Londra (-0,4%), bene anche gli altri mercati europei (+1,1% Francoforte, +1% Parigi, +1,32% Madrid), mentre Wall Street ha perso slancio in chiusura (+0,15% a un’ora dalla chiusura). Rialzi convinti, determinati anche dalla crescita oltre le attese degli Stati Uniti nel secondo trimestre grazie a un aumento deciso delle esportazioni. L’aumento dell’1,3% tra aprile e giugno fa in parte rientrare l’allarme sulla tenuta dell’economia fatto scattare dalla Federal Reserve nell’ultima riunione.

Secondo il presidente della Fed di Philadelphia, Charles Plosser, l’economia potrebbe crescere quest’anno del 2% e del 3% nel 2012. Un’espansione di almeno il 3% è considerata necessaria per ridurre significativamente la disoccupazione (al 9,1%). Una piaga sociale con cui gli Usa dovranno fare i conti ancora a lungo.

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