Sì alla Turchia, ma il Bosforo farà la differenza

Carissimo Granzotto, ho molto apprezzato che nella risposta a Mario Galli lei abbia messo in evidenza il contributo militare della Turchia nella guerra di Corea, perché mi mette alquanto a disagio il fatto di non vedere mai ricordato, nelle discussioni sull’ingresso in Europa della Turchia (argomento su cui nutro anch’io mille dubbi), il contributo da essa fornito oltre che all’Onu anche alla Nato, in uomini, mezzi e sangue, nei lunghi anni della guerra fredda. Coi turchi si è combattuto spalla a spalla, nel loro territorio vi erano basi e stazioni radar, si facevano esercitazioni insieme, eravamo camerati, in caso di attacco avrebbero avuto la loro razione di carri armati e bombe... e ora tutto scordato? Passata la festa, gabbato lo santo?
È vero, la Turchia ha negato lo spazio aereo per l’attacco all’Irak, ma sono stati i politici musulmani, in quel momento al potere anche per la ritrosia degli Stati Europei, a mantenere il pieno appoggio all’esercito, garante della laicità (curioso: in Europa i laici sono i buoni, invece). Si abbia allora il coraggio di dire che il problema è dato dai partiti musulmani, non dai Turchi, ai quali andrebbe, se non altro, almeno un po’ di riconoscenza. È il mio un punto di vista troppo limitato?
Gianfranco Gallotti - e-mail
Assolutamente no, caro Gallotti. Si potrebbe anche ricordare (e su questa pagina è stato fatto) che nella missione in Crimea noi fummo (cioè lo furono i piemontesi, ma l’Italia una e indivisibile, come ama ripetere il buon Ciampi, stava quagliando) al fianco dei turchi. A cose fatte e cioè a Italia una e indivisibile, da amici i turchi tornarono nemici, mi riferisco al conflitto del ’14-18, ma chi li vide? E se nella seconda guerra mondiale riuscirono a rimanere, anche se non proprio fino in fondo, neutrali, alla caduta del nazismo si schierarono con l’Occidente democratico. Scelta coraggiosa perché l’orco sovietico faceva paura, molta paura e l’America era lontana, molto lontana. Che dunque la Turchia militi nel campo in cui militiamo noi è un dato di fatto incontrovertibile. Che le si debba riconoscenza, tanta, per essere stata il bastione dell’Occidente durante gli anni tremendi della guerra fredda, è fuor di discussione. Che intrecciare e intensificare rapporti economici e culturali e di cooperazione con Ankara torni a vantaggio di tutti è fin troppo evidente. Ma gli eurofaraoni ed eurofanfaroni di Bruxelles non intendono, caro Gallotti, fare della Turchia un partner, e anche privilegiato, di Eurolandia, come è giusto che sia. Si piccano di fonderla nel crogiuolo della vagheggiata supernazionalità europea, farla diventare un lembo di quella patria comune che tanto commuove il buon presidente Ciampi, tanto intriga Romano Prodi e tanto avvince Padoa Schioppa, quello dell’Europa «forza gentile». E non si può. Non è possibile. Nella malaugurata ipotesi che il crogiuolo prenda a sfrigolare - ma dopo la botta del no francese, campa cavallo - il volervi immettere la Turchia comprometterebbe la fusione, renderebbe instabile l’amalgama. E questo per le ragioni note che si rifanno alle radici religiose, culturali e storiche dell’Europa. Non che le nostre siano migliori o peggiori di quelle turche: sono diverse. E sebbene il fregnacciume del politicamente corretto pretenda che le diversità non esistono, esistono eccome.


Braccia aperte dunque alla Turchia quale socio o partner a pieno titolo, piena dignità e pieni diritti dell’Unione, ma lì fermiamoci: se si torna a strologare di patria comune, il Bosforo farà sempre la differenza.

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