Le immagini di guerriglia urbana per gli atti di sciacallaggio nella disgraziata capitale haitiana di Port-au-Prince non sono una novità per la storia di quel Paese, abituato a scontri armati, guerre civili, episodi di violenza inaudita. Ma l’enormità della tragedia avvenuta, il fatto che più di un terzo della popolazione sia rimasto senza abitazione, le immani difficoltà nel gestire la macchina dei soccorsi e il grave problema delle migliaia e migliaia di morti che attendono una sepoltura, dovrebbe indurci a uno sguardo diverso su quegli atti prima di pronunciare giudizi sulla base dei codici di diritto.
Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2401), commentando il settimo comandamento del Decalogo, «Non rubare», ricorda che esso proibisce «di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo». Al contempo, si legge sempre nel catechismo curato dal cardinale Joseph Ratzinger e promulgato da Giovanni Paolo II nel 1992, «esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata».
Quel diritto alla proprietà privata non è dunque mai assoluto per la dottrina cattolica, ma ha un limite proprio nella destinazione universale dei beni, dato che gli stessi «beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano» e non soltanto ad alcuni.
Nel caso del terremoto che nei giorni scorsi ha colpito Haiti, ci si trova di fronte a una situazione del tutto eccezionale, una situazione di grave necessità. Quartieri e villaggi distrutti, negozi diroccati, difficoltà negli spostamenti. Che cosa dovrebbe fare un padre di famiglia se non ha di che sfamare e dissetare i suoi bambini di fronte a un negozio abbandonato contenente generi alimentari? Se i soccorsi non arrivano, se non esiste altra possibilità di procurarsi il necessario per vivere? Il bene della sua vita e di quella dei suoi figli non dovrebbe forse prevalere sul diritto alla proprietà privata? Credo sia lecito che in un caso come questo ci si possa appropriare di cibo, acqua o medicinali di prima necessità. Questo non è e non può essere definito sciacallaggio. E viste le circostanze, non può nemmeno essere considerato illecito, anche se in teoria chi prende dei beni non suoi dovrebbe impegnarsi, quando ce ne saranno le condizioni, a risarcire il legittimo proprietario. Nella Germania dell’immediato dopoguerra il cardinale di Colonia Josef Frings - che sarà uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II e avrà come suo consigliere teologico un giovane e brillante sacerdote, Joseph Ratzinger - disse che chi era alla fame a causa della guerra poteva essere lecito appropriarsi di qualcosa per poter sopravvivere e non soccombere. I tedeschi coniarono allora, dal cognome dell’arcivescovo, il verbo fringsen, che descriveva proprio questo tipo di «appropriazioni» per motivi di sopravvivenza in un contesto del tutto eccezionale qual era quello di un Paese devastato dalla guerra.
Ben diverso è, ovviamente, il caso di chi entra nei negozi semidistrutti per rubare denaro, oppure un computer o un altro bene che non ha a che vedere direttamente con la sua possibilità di sopravvivenza. Questo sì è furto e sciacallaggio, perché qui non è in gioco la vita di chi si appropria di beni non suoi per sfamarsi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.