Maurizio Sacconi, che giudizio dà del governo Monti?
«Gode di una tregua nella politica italiana, che come sappiamo è stata molto conflittuale. Tuttavia non è riuscito ancora a operare efficacemente su due versanti».
Quali?
«Intanto su quello del negoziato sovranazionale. Una manovra così pesante non è stata scambiata con un adeguato impegno europeo per la stabilità, con il risultato che ora rischiamo di avere di fronte depressione e instabilità che si alimentano reciprocamente. Dall’altro lato, non ha saputo proporre alla società italiana una prospettiva che ne mobilitasse le energie vitali».
Colpa della manovra?
«La manovra per i suoi contenuti diretti e anche per il messaggio indiretto che ha espresso nell’immediato non ha solo scoraggiato consumi e investimenti, ma ha anche depresso le aspettative di medio termine. Sono proprio questi due versanti che devono diventare oggetto di un nuovo impegno congiunto del governo e dei grandi partiti che lo sostengono».
Crede, come Pier Ferdinando Casini, che serva un salto politico del governo Monti, con una coalizione Pdl-Pd-Udc?
«Il ritorno della politica non significa un governo comune di questi grandi partiti, che, costretto a mediazioni esasperate, non scalderebbe il cuore della società, ma piuttosto un bipolarismo maturo con alternanze non traumatiche perché fondato su valori condivisi della nazione».
Si dice che alcuni esponenti del Pdl siano tentati da Casini.
«Minutaglie. C’è bisogno di offerte politiche forti e inequivoche. E queste si realizzano solo in una logica bipolare e non in un centro concepito come luogo della mediazione su tutto».
Cosa non è stato capito della manovra?
«Due eccessi che non hanno consentito di contemperare le ragioni dei numeri con quelle delle persone. Con le misure fiscali ho la sensazione che il percorso di leale collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria, avviato dal precedente governo, che aveva portato a risultati importanti, possa essersi interrotto. E temo che questo si traduca in un ritorno della propensione all’evasione».
Cos’altro non le è piaciuto?
«Un eccesso nell’accelerazione delle transizioni previdenziali. Le riforme del governo Berlusconi, delle quali si cominciano ora a percepire gli effetti, avrebbero dovuto essere completate, ma le decisioni prese dal governo Monti appaiono in parte eccessive».
Siamo stati più severi di altri?
«Al punto che in Europa risultiamo avere il sistema più rigido. In un contesto di crisi, poi, abbiamo penalizzato i lavoratori e le lavoratrici oggi già adulti».
Pensa siano possibili modifiche della manovra?
«Spazi di correzione, in un quadro di risanamento strutturale della finanza pubblica, potrebbero riguardare proprio la regolazione fiscale e la gradualità della omologazione delle pensioni di vecchiaia tra uomini e donne. Così come è oggi ci porta al traguardo dei 67 anni dieci anni prima dei tedeschi».
Altri possibili interventi?
«Le forze politiche adesso hanno il dovere di compiere un passo in più nell’orientare l’attività del governo. Ad esempio sostenendo il percorso di riduzione della spesa attraverso l’attuazione del federalismo fiscale, con riguardo tanto ai costi standard della salute quanto ai fabbisogni standard delle municipalità. La giustizia civile, ripartendo dal lavoro svolto da Alfano ministro. Poi l’assetto delle banche italiane, a partire dalla ricapitalizzazione, in funzione della liquidità delle imprese. Un altro terreno condiviso dovrebbe essere la produttività del lavoro, attraverso l’articolo otto della manovra estiva sui contratti aziendali».
E questo percorso risulterebbe sufficiente a mobilitare la società italiana?
«In realtà solo un governo politico potrà farlo compiutamente. E noi dovremo lavorare contemporaneamente per una rinnovata offerta politica di tutti coloro che muovono dai valori non negoziabili della tradizione nazionale. Essi si riassumono nella convinzione che la persona sia vocata alla socialità, dalla famiglia alle molteplici forme comunitarie.
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