Roma - È giallo (perché thriller) e nero quanto l’animo umano, ma punta sul rosso del cuore e delle sue passioni Uomini che odiano le donne, il denso film del danese Niels Arden Oplev (esce il 29), ispirato all’omonimo libro di Stieg Larsson (edito da Marsilio) e costola del corpus di Millennium, trilogia di culto in mezzo mondo: oltre 10 milioni di copie vendute. Com’è nell’uso millenarista, a base di saghe (dal Codice da Vinci a Harry Potter) che danno appuntamento in sala all’affezionato pubblico, eccoci stavolta a rimirare l’acqua cristallina sopra al fango d’uno stagno putrido. Si tratta della famiglia Vanger, ricca e potente, in superficie, però marcia nel profondo, come dimostreranno Mikael, giornalista in crisi (il roccioso Michael Nyqvist) e Lisbeth Salander, una hacker disturbata (Noomi Rapace, ventinovenne danese di origini spagnole), fortemente iconica per la platea giovane, che la ama, riconoscendosi in lei, anoressica eroina da corpo a corpo con la vita.
Ambientato nella Svezia contemporanea, tra laghi azzurro ghiaccio e foreste silenti, dove c’è chi spara per uccidere, la vicenda parte dalla sparizione della bionda Harriet, avvenuta quarant’anni prima, e approda al doloroso disvelamento d’una malvagità familiare, che contempla stupri di padre in figlio, sordidi segreti e rancori razziali in odor di nazismo.
Né mancano i rimandi ai codici della Bibbia, legati a omicidi seriali di donne giovani e belle (un classico) e le alternanze tra i rassicuranti interni domestici svedesi (con le stufe di ghisa e la tappezzeria a fiori) e un «fuori» infernale, che brucia sadismo allo stato puro (la scena dello stupro di Lisbeth, che lei ricambierà con pari cattiveria).
«Ho focalizzato il mio film sulla crudeltà verso le donne, sebbene sia importante il passato della Svezia, rispetto alla Germania nazista. Però non so se definirla una storia di odio dell’uomo verso i suoi simili. L’enfasi è sulla società patriarcale che genera mostri, come accade nel libro», spiega Oplev, che per girare il suo film ha scontentato per prima sua moglie, dati i prolungamenti delle riprese («i soldi non bastavano»). Veniamo così a sapere che nella civile e democratica Svezia ammontano a 20.000 i casi di stupro, su scala annua. «La Svezia Paese “perfetto”?», irride il regista, che ribadisce come «anche in Italia ci siano uomini politici corrotti».
Dal canto suo Noomi Rapace, issata su tacchi-stiletto letali, racconta: «La mia Lisbeth? Un’eroina reale,che non si arrende. Brutta, ma attraente per gli uomini; magra, ma combattiva.
La scena dello stupro è stata dura, ma più duro ancora restituire quella violenza al mio stupratore: ho scoperto, dentro di me, cose che mi hanno fatto rabbrividire».E prepariamoci ai sequel: La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta.
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