Sailer quel giorno a Cortina «Io, dimenticato in albergo»

«Un bobbista mi disse che i miei compagni erano già in pista. Mi diedero il pettorale 135, vinsi con quattro secondi di vantaggio»

Maria Rosa Quario

Nel febbraio del 1956, Toni Sailer diventò immortale vincendo, primo nella storia dello sci, tre medaglie d’oro in una stessa olimpiade. Successe a Cortina, dove a fine gennaio si festeggerà il 50º anniversario dei primi Giochi italiani e naturalmente anche Toni Sailer, simbolo vivente di quelle gare. Ma intanto per l’austriaco è tempo di festeggiare un’altra ricorrenza, il suo settantesimo compleanno, oggi, 17 novembre. «Oggi? Veramente è da mesi che mi festeggiano, che mi invitano, che fanno brindisi. I 70 mi sembra di averli già compiuti venti volte, ma cosa conta? Per me il passato o il futuro non esistono, mi concentro solo sul presente. Ho fatto così per tutta la mia vita».
Lunga 70 anni appunto.
«Ho molto da ricordare, penso all’olimpiade di Cortina, alla mia infanzia a Kitzbühel, alla mia casa, agli amici, alla scuola, alla libertà, allo sci, al tennis, al calcio, alle arrampicate e alle camminate in montagna».
Cortina 1956, ricorda?
«Il giorno dello slalom, seconda gara del mio programma, mi dimenticarono in albergo. Alle 8 mi svegliai e vidi che Hinterseer, mio compagno di stanza, non c’era. Mi alzai, scesi a fare colazione e trovai il deserto. Un bobbista mi disse che gli sciatori erano usciti da venti minuti. Mi feci accompagnare sulle piste, non feci la ricognizione e non trovai nemmeno il mio pettorale numero 15. Il coach lo aveva perso. Mi diedero il numero 135, partii e vinsi il secondo dei miei tre ori con 4 secondi di vantaggio. Avrei voluto smettere alla fine dei Giochi, lessi e sentii dire che “Sailer aveva vinto solo per fortuna”. Decisi di andare avanti: a Badgastein, due anni dopo, vinsi tre ori e un argento mondiali. Potevo ritirarmi soddisfatto».
E Sailer diventò attore.
«Ventidue film da protagonista, un’altra decina come attore secondario e il teatro, l’esperienza più esaltante, in giro per il mondo».
Un grande successo.
«Perché ci ho messo amore, ho dato tutto me stesso. E perché ho avuto la fortuna di potermi dedicare solo a cose che mi piacevano».
Chi è Toni Sailer per i giovani austriaci?
«Mi conoscono per i racconti dei nonni e anche perché i miei film passano ancora in tv, specie sotto Natale. A 70 anni non posso certo essere un idolo per i ragazzini. Cerco di dare ancora l’esempio, di far capire ai giovani quanto sia importante lo sport nella vita».
Cosa le piace fare, oggi?
«Guardare fuori dalla finestra e vedere le montagne, giocare a golf (hcp 4 per 40 anni, ndr) e sciare. Odio le lettere, la carta in generale».
Riceve ancora tanta posta?
«Ogni giorno sulla mia scrivania si accumula una pila incredibile di richieste di autografi, di lettere di ammiratori e di inviti che si mischiano a bollette e a cose più importanti. Nel 2000 è morta mia moglie e tenere tutto in ordine è diventato più difficile».
Un nome un pensiero, Maier.
«Vincente nato, a volte però vuole vincere troppo».
Miller.
«Seguendo certi canoni non avrebbe superato l’esame da maestro di sci. Per me resta un grande sciatore, anche se critica troppo spesso la coppa del mondo».
Tomba.
«Straordinaria personalità e grande atleta, nessuno come lui ha portato colore nel mondo della neve».
Girardelli.
«Grande anche lui, papà lo ha aiutato molto, soprattutto per i materiali: hanno inventato le piastre e grazie a quelle hanno avuto per anni notevoli vantaggi tecnici».
Thoeni.
«Bell’atleta e bella persona. Le sue linee erano straordinarie, a lui riuscivano le manche perfette».
Stenmark.


«Ha vinto tanto, l’unico neo resta la discesa, sarebbe stato meglio non provasse mai la Streif, quelle curvette di paura lassù in partenza hanno macchiato la sua carriera».
A 70 anni come andiamo?
«Sono come una di quelle macchine che da fuori sembrano in ordine, ma che in realtà hanno sempre bisogno del meccanico».

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