SAINT-EXUPÉRY Sulle ali di una matita

Schizzi, autoritratti e caricature, dall’infanzia alla morte: in un album di Gallimard la grande passione dello scrittore francese per il disegno

nostro inviato a Caen
Disegnava dappertutto. Sui fogli di carta da lettere, sulle buste, sui menu dei bar e dei ristoranti, persino sui tavoli... Disegni che servivano da illustrazione a ciò che andava scrivendo, che s’imponevano mentre stava scrivendo... O, più semplicemente, era come se un altro io improvvisamente facesse capolino, reclamasse la propria presenza, il diritto a una propria vita.
A volte era uno schizzo puro e semplice, a volte una figura umana, un albero, un fiore, e magari una specie di ossessione, quei fiori a forma di stella che se ne stavano lì, sui bordi del foglio, a significare chissà che cosa, a simboleggiare una solitudine e una vocazione, la bellezza e la tristezza, il per aspera ad astra... Non si era mai considerato capace di disegnare, e quando da bambino aveva reso sulla carta un serpente boa che aveva inghiottito un elefante e la madre non aveva saputo capire cosa fosse, si era ritirato in silenzio... E però l’abitudine gli era rimasta e a volte aveva preso il ritmo di una frenesia, un intero blocco da disegno dedicato ai volti di quelli che volavano con lui, un puntiglioso accompagnamento simbolico di stile floreale quando aveva deciso che le sue composizioni poetiche meritavano di essere abbellite... Ma né in un caso né nell’altro, né in tanti altri ancora, aveva pensato si trattasse di qualcosa da conservare, da raccogliere. Da regalare sì, così come si regala un fiore a una donna, un giocattolo a un bambino. Un segno e un pegno di amicizia, un modo in fondo per dire «ci sono», «ti penso».
Vederli adesso raccolti fa un certo effetto, perché conosciamo la storia e sappiamo già come andrà a finire, ma allora, prima ancora del successo, e poi della popolarità e della fama, e infine della morte, quei disegni che si accompagnavano a una lettera, a una cartolina, erano quelli di un amico o di un innamorato, di un figlio, oppure di un fratello, di un compagno di studi, oppure di un commilitone, di un aspirante scrittore. Il fatto che avessero come firma Antoine de Saint-Exupéry non avrebbe detto nulla a chi non lo avesse conosciuto di persona.
Dessins. Aquarelles, pastels, plumes et crayons (pagg. 325, euro 42) è il grande album che Gallimard ha creato dal nulla, ovvero da un insieme di destinatari, da qualche bloc-notes privato divenuto poi proprietà di famiglia, da fogli sparsi conservati chissà perché oppure dispersi e alla fine tornati alla luce. C’è il carnet «Les Copains, Casablanca (Maroc) 37º d’Aviation», anno 1921, che Saint-Ex regalerà a Jean Doat, un collega di lavoro degli anni Venti, ci sono i «Feuilles de la contesse de Vogüé», i foglietti sparsi, mai datati, mai firmati, una specie di antologia di tipi e volti, donati a quella che era un’amica dei tempi della sua giovinezza e che poi sarà l’amante «intellettuale», ma non solo, di tutta la sua vita, e dove appare un primo abbozzo del «piccolo principe», solo in un campo di fiori a forma di stella...
Ci sono «Les Dessins pour Rinette», che accompagnano le lettere a Renée, «Rinette», de Saussine, sorella di Bertrand de Saussine, compagno di scuola di Antoine al liceo Saint-Louis, e quindici anni di corrispondenza «illustrata», dal 1927 al 1943, al pilota Henri Guillaumet, allo scrittore Leon Werth, alle amiche-amanti Nathalie Paley, Silvie Reinhardt... Ci sono i «Portraits de femmes», le eleganti e le civette, capelli corti e forme efebiche, un insieme di tipi mondani degli anni Trenta... i ritratti, autoritratti, personaggi infantili e personaggi in cerca d’autore, caricature che affollano agende, carte intestate di alberghi, di linee marittime, conti di ristoranti e l’insieme degli «En marge de manuscrits», dal primo romanzo Courrier Sud a Pilote de guerre a Citadelle. Infine, «Les dessins du pilote», dai primi schizzi mandati alla madre quando è ancora un allievo, ai disegni tecnici, al «Menu du cochon» disegnato ad Algeri nel gennaio del 1944, il menu illustrato di una festa fra commilitoni, dove c’è di tutto, dai commensali alla spiegazione della fine culinaria del povero maiale, dal «piccolo principe» che fa il conto degli invitati, alla richiesta di arrivare muniti di bevande alcoliche...
Da questo insieme eterogeneo, spesso occasionale, senza pretese eppure mai banale, emerge il carattere di uno scrittore che paradossalmente aveva bisogno degli altri per marcare meglio la propria solitudine, la consapevolezza della propria diversità. Il bambino che a sei anni, come dirà ironicamente, aveva rinunciato «a una magnifica carriera di pittore», è l’adulto che, invitato dal «piccolo principe» a disegnargli una pecora, alla fine rinuncia e disegna una cassetta: «La pecora che volevi è lì dentro», gli dice. E il ragazzino sorride, perché la pecora prende forma nella sua immaginazione infantile, ed è conforme all’idea che se n’era fatto. «L’oggetto del desiderio esiste, ma non ci sono le parole per dirlo. I bambini sanno che l’essenziale è invisibile agli occhi».
Fra i disegni, «la rosa» cara al piccolo principe rimanda a un amore, un nome, una donna, quella Consuelo che fu la moglie, prima, la vedova malsopportata dopo. La famiglia Saint-Exupéry non aveva mai visto di buon occhio questa piccola e ardente sudamericana che per tredici anni era stata la compagna ufficiale dello scrittore: un ménage, il loro, altalenante, fatto di doppie case, lunghe separazioni, tradimenti incrociati... Era sempre stata ritenuta un corpo estraneo, qualcosa che esisteva, ma che si preferiva non nominare, lontano mille miglia dalle abitudini e dal decoro di un cognome che portava in sé la vecchia aristocrazia di campagna, decaduta magari, ma sempre legata a uno stile, a un codice, a un comportamento. Così, quando nel 1949 uscì la prima biografia su di lui, l’unica traccia di lei fu rinvenuta in una riga nella quale si dava notizia che sì, Saint-Ex era stato sposato... Ironia della sorte, l’autrice del volume era stata l’ultima delle sue molte amanti...
Consuelo se ne andò per una crisi d’asma nel 1979, e nell’arco di tempo fra le due morti, un trentennio e poco più, la sua figura e il suo ruolo ebbero tutto il tempo di impallidire. Ciò che di lei rimase fu una via di mezzo fra «un uccello da preda» inseritosi a forza nella vita di un eroe romantico, e una svampita, incostante e disinibita bellezza esotica che per un po’ ne era stato il tormento e/o il trastullo.
Poi nel Duemila arrivò il centenario della nascita dello scrittore e dai bauli di quella che era stata comunque la sua unica moglie venne fuori un dattiloscritto, Le roman de la rose: pubblicato a cura dell’esecutore testamentario di Consuelo, José Martinez Fructuoso, ebbe 27 traduzioni, ne riportò la figura al centro dell’attenzione e della vita di Saint-Exupéry. Raccontava una storia d’amore di quelle che non si usano più, quale solo un uomo e una donna fuori del comune avrebbero potuto vivere. Perché se Saint-Ex era stato il «mago della nostra giovinezza», secondo il ricordo di Louise de Vilmorin, lei di quel mago era stata l’ispiratrice.
Il dattiloscritto non fu però l’unica cosa rinvenuta in quei bauli. In essi era praticamente raccolto l’esilio americano di Saint-Ex, i tre anni dall’inverno del 1940 all’estate del 1943, che vedono la nascita del Piccolo principe, la continuazione di Cittadella, la Lettera a un ostaggio, le polemiche e le prese di posizione giornalistiche in relazione al ruolo e al peso di una Francia futura. Ma che, soprattutto, vedono di nuovo la coppia insieme, fra città e campagna, fra amici e conoscenti, un ménage non tradizionale, eppure indistruttibile, fatto di lettere, biglietti, telegrammi, attenzioni, consigli, giuramenti, preghiere. Una vita a due circondata dalle cose che nell’esilio li avevano accompagnati: ricordi d’infanzia di lui, oggetti d’arte, capi di vestiario, manoscritti, disegni, fotografie, documenti, poesie...
Questo incredibile materiale documentario è ora in mostra (fino al 30 novembre) a Caen e l’esposizione, che si deve alla cura e alla sensibilità sempre di José Martinez Fructuoso, si intitola «Antoine et Consuelo Saint-Exupéry. Objets d’une vie». Pressoché coetanei, non c’era all’apparenza nulla che potesse unirli. Lui era grande e grosso, una sorta di orso un po’ goffo, distratto. Lei era minuta, una specie di venere tascabile latina, folti capelli neri, belle gambe proporzionate. Quando si incontrarono Saint-Ex era al suo primo libro, una brillante promessa, non ancora il grande scrittore, un’infanzia felice alle spalle, una giovinezza irrisolta a cui l’aviazione aveva dato in qualche modo uno sbocco. Sotto questo profilo Consuelo era molto più pratica, molto più matura: figlia di proprietari terrieri, borsista universitaria negli Stati Uniti a 19 anni, vedova una prima volta a 21 e una seconda a 26, di un marito che ne aveva trenta di più, villa a Nizza, casa a Parigi, conoscenze nel milieu intellettuale e mondano, grandi sarti, Poiret, scrittori famosi, Maeterlink, d’Annunzio, Cremieux, è la perfetta incarnazione di chi sa ciò che vuole. Eppure, paradossalmente, sarà più lei a inseguire e ad attendere lui, più lui a indossare la veste protettiva dell’uomo di mondo, del dispensatore di certezze, della roccia a cui ci si può appoggiare.
Tra le foto in mostra ce n’è una, bellissima, scattata nell’appartamento lasciato libero da Greta Garbo e divenuto il rifugio della coppia: Consuelo è sdraiata sul letto, un lenzuolo le copre appena il seno ma lascia scoperte le spalle e il collo, i lunghi capelli sciolti, come se dormisse. Dietro la foto, un piccolo messaggio di lei scritto a penna: «Non perdermi! Non perderti. A presto!». Ed è un po’ il riassunto di una vita in comune, contro tutti e nonostante tutto.
Raccolte nel catalogo che accompagna la mostra, le lettere che raccontano questa storia d’amore così particolare eppure così esemplare aiutano a seppellire quel santino, un po’ melenso e un po’ innocuo, riduttivamente costruito su una favola di successo, che si delineò a partire dagli anni successivi alla morte di Saint-Exupéry. Un santino utilissimo per far dimenticare che prima di esso c’era stato l’aristocratico cantore del cameratismo e della vita come dovere e come missione; l’avventuriero tutto fremiti e passioni ideali, dispregiatore dei bisogni e dei desideri materiali di massa; l’intellettuale fedele alle amicizie al di là delle diverse scelte ideologiche; il teorico di una democrazia elitaria, di un governo dei migliori che nel superamento degli «ismi» del suo tempo (comunismo, fascismo, capitalismo) indicasse scopi, mete e valori alla Francia e ai francesi.
In questa opera di riscrittura non c’era posto nemmeno per Consuelo, ovvero per i tradimenti, più di lui che di lei, e le riconciliazioni, la possibilità di una libertà totale e allo stesso tempo di un legame indistruttibile, a volte amaro e altre volte crudele, proprio di due persone in carne e ossa, non di due simboli, uno positivo, l’altro negativo, e straordinariamente moderno, antiborghese. Dirà Consuelo alla madre di Antoine: «Credete che vostro figlio sarebbe contento di sapere che negli ultimi quattro libri pubblicati su di lui sia stato sminuito o nascosto che fosse sposato, che mi ha amato, che ha vinto tutte le tentazioni, che ha scritto per me una preghiera?». La preghiera per Consuelo dice: «Signore, fatemi sempre simile a quella che mio marito sa leggere in me. Signore, signore, salvate mio marito perché mi ama veramente e senza di lui sarei orfana, ma fate, signore, che egli muoia per primo, perché sì, ha un’aria solida, ma si angoscia troppo quando non mi sente fare chiasso per casa. Signore, innanzitutto risparmiategli l’angoscia. Aiutatemi a essere fedele e a non vedere quelli che lui disprezza e quelli che lo odiano. Questo gli porta sfortuna, perché ha fatto la sua vita in me.

Proteggete, Signore, la nostra casa. Amen».
Antoine gliela inviò nel gennaio ’44, con su scritto «preghiera che deve dire ogni sera Consuelo». Quattro mesi dopo se ne andò per primo lui, come sapeva sarebbe successo, come sperava sarebbe successo.

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