Salute

Alzheimer, dopo il farmaco anche il vaccino

Uno studio clinico in fase due dimostra come un potenziale vaccino contro l'Alzheimer riuscirebbe ad essere efficace contro la malattia lieve. "Una speranza che si riaccende", dicono gli esperti

Alzheimer, dopo il farmaco anche il vaccino

Un'altra luce di speranza per i malati di Alzheimer: una settimana dopo l'annuncio dell'FDA americana del primo farmaco in grado di rallentare il corso degenerativo del morbo (qui il nostro pezzo), ecco il primo vaccino che sarebbe risultato efficace contro la malattia lieve.

Quali sono le evidenze

Lo studio clinico di fase due è stato appena pubblicato su Nature Aging: a darne annuncio sono stati gli scienziati della società biotecnologica Axon Neuroscience con sede in Slovacchia, a Bratislava. Il vaccino peptidico si chiama AADvac1 e, sebbene non abbia avuto un impatto importante sul declino cognitivo dei pazienti oggetti dello studio, gli autori hanno messo in evidenza alcuni benefici che le prossime indagini dovrebbero confermare. I ricercatori hanno spiegato che in alcuni pazienti con il morbo di Alzheimer si registrano livelli elevati della proteina tau, una sostanza nell'organo cerebrale probabilmente associata al declino dei neuroni. Il team, guidato da Petr Novak dell'Università tecnica di Braunschweig in Germania e ricercatore presso la Axon Neuroscience, ha coinvolto 196 partecipanti con Alzheimer in forma lieve ed età media di 71,4 anni. Alla metà dei volontari è stato somministrato l'AADvac1, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto un placebo. Secondo i dati della squadra di ricerca, il profilo di sicurezza e tollerabilità del vaccino risultano molto promettenti e nei soggetti vaccinati sono stati riscontrati livelli elevati di anticorpi contro il peptide tau.

L'AADvac1, però, non ha mostrato effetti molto significativi legati alla cognizione nell'intero campione di studio: le indagini mostrano che il vaccino ha rallentato l'accumulo della proteina responsabile neurodegenerazione ma non ha fatto compiere progessi cognitivi. Gli esperti ipotizzano che il basso numero di pazienti con patologia caratterizzata dalla proteina tau potrebbe aver influenzato il livello di efficacia riscontrato dall'indagine concludendo che saranno necessari studi più ampi e stratificati per valutare appieno l'efficacia clinica di AADvac nei pazienti con malattia di Alzheimer.

"Prospettive interessantissime"

Nonostante serviranno nuovi risultati che saranno acquisiti con la fase 3, è un enorme passo in avanti sognare anche un vaccino per una malattia come questa. "Prospettive interessantissime" afferma Carlo Caltagirone, neurologo e direttore scientifico dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Santa Lucia, a Roma, “Una speranza che si riaccende” è la sintesi anche di Elio Scarpini, professore di neurologia all’università di Milano e direttore del centro Alzheimer del Policlinico, “anche se c’è bisogno di molta ricerca ancora”. "Il vaccino ha generato anticorpi e ha ridotto la presenza nel sangue di neurofilamenti che indicano che un processo di distruzione dei neuroni è in corso nel cervello” spiega Caltagirone intervistato da Repubblica. Ma i test cognitivi non hanno mostrato una risalita delle facoltà intellettive, o almeno un rallentamento del declino. “Probabilmente i volontari – spiega Scarpini – erano ormai in uno stato avanzato della malattia. Sappiamo che i danni ai neuroni si sviluppano anni prima che i sintomi siano eclatanti. E purtroppo i neuroni morti non ricrescono”. Nonostante il nome di vaccino, il farmaco che stimola gli anticorpi contro la tau viene usato a scopo curativo, non preventivo: ai volontari sono state fatte 11 somministrazioni ma non è ancora chiaro quanto duri l'efficacia.

Il primo farmaco contro l'Alzheimer

Come ricordato in apertura, però, c'è già un trattamento che sembra essere ancora più promettente, il primo approvato dal 2003 ed anche la prima terapia che mira alla fisiopatologia fondamentale della malattia. Il farmaco consiste in una terapia con anticorpi monoclonali che può essere iniettata per via endovenosa in pazienti con malattia di Alzheimer moderata.

Le sostanze concorrenti alla composizione del medicinale si legano a molecole presenti nelle placche amiloidi (il cui accumulo nel cervello è associato alla malattia, ndr), riducendo così la corsa della patologia e consentendo alle persone di continuare a svolgere attività quotidiane come pulire casa e fare la spesa.

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