Coronavirus

Stanchezza cronica, così il Covid resiste nei guariti

A lanciare l'allarme è uno studio condotto dalla Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma

Stanchezza cronica, così il Covid resiste nei guariti

Può colpire chiunque, anche se è più frequente nelle donne (60-85% dei casi) di età compresa fra i 40 e i 50 anni. Nota anche come encefalomielite mialgica, la sindrome da stanchezza cronica è un disturbo molto complesso caratterizzato da un senso di fatica persistente (non si attenua con il riposo) e inspiegabile (non è correlato a problematiche di salute o ad attività fisiche intense).

Nonostante numerosi studi in merito, non sono ancora state individuate le cause della sindrome da stanchezza cronica. Si ritiene, tuttavia, che essa dipenda da: infezioni di tipo virale (virus di Epstein-Barr, Herpesvirus umano 6, virus della leucemia del topo), condizioni psicologiche alterate (forte stress, traumi emotivi), sbilanciamenti ormonali (presenza di valori anormali dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene). Infine non si devono sottovalutare alcuni difetti del sistema immunitario.

Come già accennato uno dei sintomi cardine della sindrome da stanchezza cronica è una sensazione di fatica che si protrae nel tempo e che tende a peggiorare in maniera drastica dopo un'intensa attività fisica e/o mentale. A questa manifestazione possono, altresì, associarsi altri segni clinici tra cui: mal di testa intenso, dolori muscolari immotivati, artralgia, deficit di memoria e concentrazione. Ancora mal di gola ricorrente, sonno agitato e non ristoratore, linfonodi ingrossati del collo e delle ascelle.

Quando la stanchezza diventa eccessiva, il malato non è più in grado di vivere normalmente la quotidianità. Fatica a muoversi, resta spesso a letto, gli riesce persino difficile allontanarsi dalla propria abitazione. Questa condizione, che inevitabilmente comporta un isolamento dal contesto sociale, può portarlo a soffrire di depressione.

La pericolosità del Covid non sembra esaurirsi con l'ultimo tampone negativo. Sono tante, infatti, le persone che una volta "guarite" sono costrette a lottare contro la sindrome da stanchezza cronica. Ad affermarlo è uno studio condotto dalla Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma e pubblicato sul The Journal of the american medical association. I ricercatori hanno seguito per oltre due mesi 143 pazienti dopo le dimissioni dall'ospedale. L'87% di questi affermava di avvertire ancora almeno un sintomo legato all'infezione da coronavirus. Più della metà lamentava stanchezza intensa (dolore toracico e articolare, affanno). La qualità della vita è indubbiamente peggiorata, basti pensare che tanti negativizzati a distanza di settimane non riescono a salire le scale o a fare una piccola passeggiata.

Questa sindrome da stanchezza cronica, di cui al momento è impossibile stabilire la durata, è principalmente dovuta alle citochine infiammatorie, ovvero molecole proteiche rilasciate dal sistema immunitario per contrastare il patogeno. La liberazione delle citochine al termine dell'infezione è l'esito di un assestamento del corpo o della persistenza del virus in alcuni organi.

Il disturbo da fatica persistente post coronavirus è stato descritto anche da Anthony Fauci.

Tuttavia, secondo il virologo americano a capo della task force anti Covid, dovranno passare mesi o addirittura anni prima che si sappia con esattezza se l'infezione è in grado di innescare problemi di salute per tutta la vita.

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