Il tumore mammario si cura sempre più con strategie personalizzate

«Le terapie mirate intervengono sui comportamenti anomali delle cellule che hanno dato origine al tumore», dice il professor Franco Nolè. Direttore dell’unità di cure mediche dello IEO di Milano è impegnato nello studio del carcinoma mammario metastatico e dei tumori del tratto genito-urinario.
«Le terapie mirate - spiega - colpiscono i meccanismi che trasformano le cellule normali in tumorali, ne determinano lo sviluppo e la loro diffusione. Un tumore è la somma di diverse mutazioni, soprattutto in quei geni che regolano la crescita attraverso fattori che ne stimolano o rallentano la riproduzione. I trattamenti stimolano un gene oncosoppressore o inibiscono un fattore di crescita impedendo la riproduzione delle cellule. Oppure possono interferire con i meccanismi che rendono le cellule del tumore immortali. Possono interferire anche con la capacità del tumore di crearsi una rete di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi).
La terapia endocrina, in uso da anni, può considerarsi mirata, efficace nei tumori con la presenza di recettori per ormoni steroidei: bersaglio di questa terapia. Contrasta l’effetto che gli estrogeni hanno sulla crescita delle cellule tumorali. Da 20 anni ha dimostrato di ridurre il rischio di recidiva e di mortalità nelle donne operate di tumore al seno in assenza di malattia a distanza e di ottenere una risposta clinica nel 60-70% dei casi con malattia avanzata».
Sono disponibili altre terapie con meccanismi diversi fra loro. «I farmaci biologici forniscono sostanze già presenti nell’organismo. Gli anticorpi monoclonali sono selezionati per colpire un bersaglio unico. Nella cura del tumore al seno, è stato messo a punto un nuovo farmaco il Trastuzumab, che attacca in modo mirato una proteina, HER-2, che si trova iperespressa sulla superficie delle cellule tumorali nel 20-30 per cento dei casi. Questo farmaco, nell’ambito dello studio HERA, condotto da Roche e dal Breast International Group (BIG), realizzato su circa 5.100 pazienti HER2 positive in 480 centri clinici di 39 Paesi ha fatto registrare, nell’arco di 12 mesi, un miglioramento significativo.

Altri farmaci, definiti «piccole molecole regolatrici» sono in grado di penetrare all’interno della cellula bloccandone la moltiplicazione. Altri ancora stimolano l’apoptosi: il suicidio programmato delle cellule. Infine ci sono quelli che impediscono la formazione di vasi sanguigni (antiangiogenetici)».
m.alberini@iol.it

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