Stefano Lorenzetto
Il medico che salva la pelle alle attrici e ai politici scelse mezzo secolo fa di dedicarsi alla dermatologia perché gli pareva la disciplina più consona al suo temperamento artistico: «Mi sono sempre piaciute le forme e i colori. Quando vado a Parigi, non manco mai di visitare il museo degli impressionisti: mi prende il cuore. E le assicuro che non esiste nessun altro ramo della medicina in cui si possano ammirare sul corpo umano tutte le sfumature del rosso, dell’arancio, del giallo, del verde, del blu, dell’indaco, del violetto. Insomma, l’iride».
Ecco spiegato perché il professor Ruggero Caputo, presidente emerito dell’International society of dermatology, a 67 anni compiuti continua a dirigere con l’entusiasmo del neofita quella sua personalissima galleria d’arte che è la clinica dermatologica del Policlinico di Milano. Il vetusto padiglione al numero 9 di via Pace ospita la scuola di specializzazione in dermatologia e venerologia dell’università: dirige anche quella. Mentre nella libera professione ha assunto con apprezzabile spirito bipartisan gli incarichi di dermatologo ufficiale del Milan e dell’Inter.
Nativo di Sesto San Giovanni, Caputo è stato il primo in Italia a studiare la pelle col microscopio elettronico. Lo strumento veniva dall’Olanda. Quando cominciò a usarlo, nel ’60, non l’avevano impiegato in più di cinque lavori al mondo. Glielo mise a disposizione il direttore dell’istituto di farmacologia, il professor Emilio Trabucchi, discendente da una schiatta che ha dato all’Italia politici (Giuseppe, ministro delle Finanze dc coinvolto nel cosiddetto «scandalo delle banane»), psichiatri (Cherubino, maestro di Vittorino Andreoli e sostenitore dell’elettroshock ma anche della pazzia talentosa di Carlo Zinelli, un paziente divenuto in manicomio esponente dell’art brut), giuristi (Alberto, accademico dei Lincei), geriatri (Marco, attuale presidente della Società italiana di gerontologia). «Finite le mie ricerche, non sapevo a chi mostrarle. Allora Trabucchi mi mandò dal professor Agostino Crosti, direttore della clinica dermatologica. “Non ci capisco niente, però mi sembra la strada giusta”, sentenziò. E volle che approfondissi al microscopio i risultati d’uno studio che doveva presentare a un congresso. Non ci siamo più separati».
Tiene la foto di Crosti appesa alle proprie spalle. Nella cornice accanto ha messo il ritratto dell’altro suo faro, il professor Ferdinando Gianotti, pioniere della dermatologia pediatrica, materia su cui Caputo ha scritto un trattato di quattro volumi in lingua inglese studiato negli atenei di mezzo mondo. «Mi chiede perché mi specializzai in dermatologia pediatrica? Quando guardi negli occhi un bambino e leggi la sua silenziosa richiesta d’aiuto, resistergli è proprio impossibile».
Ha mai calcolato l’estensione della pelle?
«Circa due metri quadrati, in un uomo adulto».
Quante sono le malattie della pelle?
«Migliaia, migliaia e migliaia. E se ne scoprono sempre di nuove».
Per esempio?
«Quest’anno ho visto in un giovane la vasculite gangrenosa dello scroto. È il sesto caso al mondo. L’ultima malattia scoperta da un italiano fu individuata nel 1954 proprio in questa clinica».
Nome?
«Acrodermatite papulosa infantile. Detta anche sindrome di Gianotti-Crosti».
Quali malattie vede più di frequente?
«Eczema e psoriasi».
E nei politici?
«Il prurito, senza alcun dubbio. Si grattano tutti come scimmie. Neurodermiti, in senso appropriato. Sono pruriti sine materia, senza cause evidenti».
Provocati da che cosa?
«Molte malattie dermatologiche, come l’alopecia areata che si manifesta con chiazze rotonde del diametro di circa tre centimetri nei capelli e nei peli, hanno risvolti psicosomatici. Una delle più invalidanti, la vitiligine, è innescata dallo stress».
Francesco Cossiga ne sa qualcosa.
«Lo stress può dar luogo persino a incanutimenti improvvisi».
Credevo fosse una leggenda metropolitana.
«Nient’affatto. Ricordo che visitai un ragazzo di 25 anni salvatosi dal disastro del Vajont. In due giorni i capelli gli erano diventati completamente bianchi».
Come si spiega?
«Blocco della produzione della melanina indotto dallo spavento».
Quali malattie vede più frequentemente negli atleti?
«Micosi e verruche. Mi ricordano quando da giovane facevo lo sverrucatore. Al centro antivenereo curavo anche sifilide, gonorrea e altre malattie trasmesse per via sessuale».
Usa l’imperfetto: non le cura più?
«Al contrario. Dopo un periodo di calo, dovuto alla paura dell’Aids, sono in grande ripresa, soprattutto le uretriti e la sifilide».
Quali malattie ci segnala la pelle?
«Un’infinità. Se diventa giallastra, l’ittero da cui può dipendere una patologia del fegato o del pancreas. Se diventa arancione, l’ipotiroidismo. Se diventa bronzea, una particolare forma di diabete detto appunto bronzino. Un arrossamento occasionale del viso, accompagnato da una vampata di calore, può essere il sintomo della menopausa nella donna o il campanello d’allarme di un tumore al surrene nell’uomo. Se all’improvviso compare uno stato ittiosiforme, cioè la pelle diventa simile a quella dei pesci, con squame secche e ben adese soprattutto sulla superficie anteriore delle gambe, il sospetto di un cancro è molto elevato. Anche la dermatomiosite, che esordisce con un eritema di colorito lillaceo del volto, è associata nella metà dei casi alla presenza di una neoplasia».
Quali patologie della pelle possono essere letali?
«La più aggressiva è il melanoma. Il 70% delle volte si tratta di melanoma a diffusione superficiale che, se scoperto per tempo, comporta scarso pericolo di vita. Il 15-20% delle volte si tratta di melanoma nodulare, il più cattivo, perché raggiunge il derma profondo e metastatizza molto rapidamente».
Quali malattie vorrebbe debellare?
«Quelle geneticamente determinate, come l’ittiosi e l’epidermolisi bollosa. Sono terribili. Meglio non vederle».
Ce n’è una che le sta invece simpatica?
«La pitiriasi rosea di Gilbert. Allarma molto, ma guarisce da sola, per cui il dermatologo fa bella figura. Di solito non ritorna più».
Che cosa non fare mai alla propria pelle?
«Insultarla. È un bene straordinario che ci è stato dato per proteggere viscere e organi interni. Guai a creare vie d’accesso per infezioni che li mettono a repentaglio. Senza pelle non si vive».
Lo dica a chi se la fa bucare con spille e anelli.
«Il piercing, ma anche il tatuaggio, è la via maestra per infezioni da Hiv, sarcoidosi, tubercolosi, micosi profonde. Sono pratiche che spesso avvengono nei retrobottega, senza nemmeno disinfettare gli aghi».
Le vieterebbe?
«No, perché sarebbe una limitazione della libertà personale e dovrei anche impedire ai patiti della tintarella di arrostirsi la pelle al sole. E poi questa gente mi dà tanto lavoro. Lei non ha idea di quante donne, alla vigilia del matrimonio, vengono a chiedermi di cancellare un tatuaggio fatto magari in gioventù, che mal si adatterebbe al loro nuovo status sociale. Vedo ghirigori e frecce indicative incredibili nel quadrante inferiore dell’addome».
Dall’ombelico in giù, per capirci.
«E nella regione del sacro. Ma anche i maschi non scherzano. M’è capitato di vedere tatuaggi persino sul pene».
Riesce sempre a rimediare?
«Se il tatuaggio è stato fatto con l’inchiostro nero, qualcosa si può fare. Ma i disegni rossi o verdi sono indelebili».
Vanno di moda anche le scarnificazioni, come nelle tribù africane, e il branding, cioè la marchiatura con uno stampo rovente, come per il bestiame nel Far West.
«Provocano cicatrici orribili. Del resto si fanno proprio questo: per dichiarare la propria appartenenza a qualche tribù urbana».
E le pare giusto che il Servizio sanitario nazionale presti le cure gratuite a gente che si rovina volontariamente?
«Sono un medico. Per me un malato è un malato. Il mio compito è guarirlo».
C’è qualche divo su cui metterebbe volentieri le mani?
«Una bella tusa».
Le viene in mente un nome?
«Per il fisico, Laetitia Casta. Però se dovessi indicare un prototipo di femminilità e di gran classe fra le donne che ho conosciuto, direi Cristina Parodi».
Me l’aveva anticipato che è appassionato di forme.
«Mi piace soprattutto la foggia dei capelli, nella donna. È una spia della personalità».
Esemplifichi.
«Treccia: pensosa e triste. Frangetta sugli occhi: desiderio di apparire tenebrosa e attraente. Taglio corto: mascolinità caratteriale. Coda di cavallo: introversa. Cascata di capelli sulle spalle: voglia di incorniciare, di farsi notare».
E tra gli uomini?
«Ritoccherei volentieri il viso di Bruno Vespa. I nevi, se tolti bene, non tornano».
Sono più vanitosi gli uomini o le donne?
«Se il 5% delle donne mi chiede un consulto cosmetico, il 2% dei maschi, finita la visita, vuole consigli su dopobarba e antirughe. Diciamo che i signori uomini stanno diventando civettuoli».
Che cosa pensa di quelli che usano fondotinta e fard?
«A volte si tratta di una necessità. Per chi fa vita di società, il look è indispensabile. Oggigiorno hanno successo solo i belli».
E dei giovanotti che si sottopongono alla depilazione del tronco e delle gambe?
«Mi piace l’uomo virile. Ma capisco che ci sono in giro degli orsacchiotti mica da ridere. Se un calvo col corpo ricoperto da una selva amazzonica si sente più a suo agio depilato, non posso biasimarlo».
Esiste un sistema per eliminare definitivamente i peli superflui?
«No, neppure il laser è risolutivo».
È vero che in questa clinica ospita un laboratorio di maquillage correttivo?
«Sì, è il primo istituito in Italia. Ma non deve pensare a un centro di bellezza. Possono accedervi solo i pazienti, circa 300 l’anno, affetti da gravi inestetismi: angiomi del volto, vitiligine, eczemi. Quando non vi è altra cura, insegniamo loro come truccarsi. Nel laboratorio, col dermatologo, lavorano due estetiste specializzate e uno psicologo».
Ma i cosmetici e il trucco non sono nemici della pelle?
«Se usati in modo corretto, sono dei grossi amici».
Secondo uno studio della Società internazionale di dermatologia plastica-estetica e oncologica, il 30,5% degli italiani ha avuto in passato reazioni avverse dovute all’uso di prodotti cosmetici e il 54,8% presenta sensibilità cutanea. Dati del giugno scorso.
«I cosmetici di nuova generazione sono tutti anallergici».
Perché l’80% degli adolescenti soffre di acne?
«È una malattia che colpisce dai 10 ai 20 anni, legata al momento ormonale».
Che cosa fanno di male gli ormoni alla pelle?
«Modificano l’assetto lipidico degli annessi, cioè ghiandole sebacee e follicoli piliferi».
E perché alcuni ragazzi, nonostante la tempesta ormonale, non hanno brufoli?
«C’è sicuramente un’impronta genetica. Nei soggetti acneici i recettori degli annessi sono predisposti a catturare più ormoni maschili».
Fino a che punto l’acne disturba la vita di relazione?
«Le forme deturpanti possono indurre vere e proprie psicosi o stati maniaco-depressivi che hanno bisogno dello psichiatra».
Risente del tipo d’alimentazione?
«È una credenza popolare diffusa, priva di fondamento. Esistono però alimenti acnigeni per quantità. Se uno mangia due etti di cioccolato o mezzo salame piccante, è probabile che l’indomani presenti una fioritura di foruncoli».
L’impulso a schiacciarli da che cosa nasce?
«Dal tentativo più che umano d’eliminare una bruttura sulla pelle. Meno si fa, meglio è. Spesso si vanno a stuzzicare lesioni che non sono ancora foruncoli ma che diventano tali proprio a causa delle manipolazioni».
Per fermare la caduta dei capelli c’è solo il pavimento, come mi ha detto Cesare Ragazzi?
«Dipende dal tipo di caduta. Se è di natura androgenetica, cioè ormonale, si può ricorrere al Minoxidil per frizioni locali o al Propecia in compresse, che stimolano la ricrescita nel 30-40% dei casi, anche nei calvi».
Ma appena si sospendono le cure, i capelli ricadono.
«Purtroppo sì, sono farmaci schiavizzanti».
Le fiale per il rinfoltimento reclamizzate sui giornali servono a qualcosa?
«No comment».
E l’autotrapianto?
«È molto efficace, perché i capelli prelevati dalla regione parietale-occipitale, che vengono impiantati a uno a uno nella regione frontale-temporale, sono privi di recettori ormonali, quindi non soggetti a caduta».
Possibile che negli Usa il 50% degli alunni delle scuole inferiori abbia i capelli infestati dai pidocchi?
«Non creda che le scuole di Milano, anche quelle di maggior distinzione, siano messe meglio. È una patologia epidemica che prospera grazie al disinteresse dei genitori. Per non parlare della scabbia, diffusa anche fra gli adulti, nobili compresi».
In che modo si prende?
«Per contagio interumano o lettereccio. Curo spesso amministratori delegati che a Mosca hanno avventure con qualche russa e si beccano l’acaro Sarcoptes scabiei anche in alberghi cinque stelle. Quando formulo la diagnosi, s’offendono: “La rogna? Scherza? Io sono pulitissimo!”. Allora mi tocca aprirgli il cunicolo sinuoso nella pelle fino a mostrargli la camera dove mamma acara vive, dorme e figlia».
L’eccesso di sudorazione come si combatte?
«Se lo sapessi, avrei vinto il premio Nobel e sarei l’uomo più ricco del mondo. L’iperidrosi è una delle condizioni più invalidanti. Pressoché impossibile trattarla. Al massimo si può ricorrere a cure palliative. Riponiamo qualche speranza nella tossina botulinica».
Che cosa pensa della moda delle lampade abbronzanti?
«Deleteria. Favorisce l’invecchiamento della pelle e l’insorgenza di tumori cutanei. Occorre prudenza anche con la tintarella naturale. Bisogna attenersi alla shadow rule, la regola dell’ombra, enunciata dai dermatologi americani: quando la nostra ombra è più corta della nostra altezza, è meglio ripararsi sotto l’ombrellone, perché vuol dire che il sole sta raggiungendo lo zenit e le radiazioni sono più pericolose».
Con l’immigrazione ha visto crescere il numero delle malattie?
«Ah sì, malattie nuove, come la sindrome da larva migrans, un parassita che entra nella pelle e cammina: per fortuna non è contagiosa. E malattie vecchie, come scabbia, micosi particolari, morbi tropicali».
Qual è il peggior difetto per un dermatologo?
«La rapidità nella diagnosi».
È anche il suo?
«Il mio è l’impazienza».
Consiglierebbe a un giovane medico di specializzarsi in dermatologia?
«Meglio in psichiatria. Offre maggiori prospettive.
Perché Paul Valéry avrà scritto che quel che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle?
«Perché la pelle nasconde quello che abbiamo dentro, ma nello stesso tempo permette di leggerlo».
(303. Continua)
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