Ieri Guido Bertolaso, come una specie di arcangelo in tuta e con la pala invece che la spada (nota per i lettori: bonaria ironia), ha accompagnato Silvio Berlusconi per la consegna di case nuove ai terremotati d’Abruzzo. Per una volta si è lasciato andare alla soddisfazione: «Abbiamo realizzato un intervento che è assolutamente rivoluzionario: fare circa 4.700 appartamenti per poter ospitare quasi 18mila persone nell’arco, di fatto, di 3-4 mesi, è qualcosa di incredibile». Una specie di fantastico primato mondiale di efficienza. E qui non c’è ironia. Qualcuno ha da dire qualcosa? Ovvio che sì, siamo in Italia. Per lui costruirebbero volentieri una galera nuova, magari prefabbricata, anche all’Aquila, ma andrebbe bene anche una baracca di lamiera nel Belice. Gli fa rabbia. Rosicano.
Così l’ultima moda della sinistra è attaccare Guido Bertolaso. Non ci credono neanche loro, per cui invece di una vera offensiva si accontentano di una campagnuccia sdentata. Ma l’intenzione è quella: denigrare il meglio di questo Paese sporcandolo con la bava degli invidiosi. Del resto il vizio italiano è il vizio anti italiano. Sono determinati, per gli interessi della propria bottega, a far del male al popolo intero. È una specie di vocazione al «male comune» che caratterizza la parte peggiore dell’opposizione, e trova nel Fatto Quotidiano la sua cima abissale.
Ho scritto «campagnuccia» perché nonostante l’impegno non vengono a capo di nulla, non si riesce a trovare una bugia verosimile. E allora che cosa si fa? Si spreme la gamma dei reati possibili e immaginabili, e in attesa di un qualsivoglia pentito prezzolato, ci si accontenta di provare a graffiare l’oro con le unghie. La vera notizia oggi, per un cronista serio di nera, sarebbe questa: il pacco di veleni destinato a Bertolaso non è riuscito a intossicare né lui né la giustizia napoletana. Dopo averlo rivoltato come un calzino, in situazione di responsabilità gravissima e dunque esposta ad errori, sono riusciti a cavar fuori un’ipotesi (ipotesi) di reato da ammenda. Invece? Nun ce vonno sta’.
Il Fatto di Travaglio ospitava ieri un articolo che a suo modo è un capolavoro, nel senso dell’autoritratto perfetto di un avvelenatore di pozzi. Si intitola: «Bertolaso: chiesto il rinvio a giudizio». Poi si precisa: «Richiesta di rinvio a giudizio per un reato minore, richiesta di archiviazione per le accuse più pesanti. Si definisce così l’inchiesta a carico del sottosegretario Guido Bertolaso nell’ambito di uno dei tanti filoni sul disastro rifiuti in Campania, lo stralcio del fascicolo “Rompiballe”».
Il reato minore qui evocato è la classica faccenda da nulla, che si concilia con una multa. Si chiama «gestione non autorizzata» quella per cui si chiede il rinvio a giudizio Bertolaso. Figuriamoci. In piena emergenza rifiuti, mentre squillano dieci telefoni, e si alzano i roghi sul corpo di una Napoli trasformata in pattumiera fumante invece del Vesuvio, questa accusa è quasi una medaglia. Non credo che i pompieri di New York l’11 settembre abbiano aspettato l’autorizzazione per «gestire» le Torri Gemelle. A Bertolaso sarà mancato un timbro, una firma, ma invochiamo per lui la legittima difesa dalle unghie degli scaldasedia. Non sappiamo se davvero abbia saltato qualche passaggio formale, conoscendone lo scrupolo, ne dubitiamo. Sappiamo però chi comandava nelle emergenze in Italia prima che arrivasse Bertolaso. Era lo strapotere della burocrazia capace di bloccare tutto, soffocando qualsiasi voglia di rialzarsi dai disastri. Invece qui - a Napoli e poi in Abruzzo - c’è un tale che, incredibilmente, muovendosi nel campo minato di migliaia di leggi fatte per incastrare chi lavora, è riuscito a rispondere a drammatici bisogni senza vedersi mozzare la testa.
Ci hanno provato, come no. Gli hanno cucito sulla mitica tuta accuse da galera: commercio illecito di rifiuti, addirittura. Hanno tentato di impacchettarlo e infilarlo nel sacchetto di plastica nella raccolta differenziata dei nemici politici per portarlo all’inceneritore.
Ora si rammaricano che il suicidio napoletano non sia riuscito. E vorrebbero almeno punire il salvatore. Non c’è esagerazione in questa parola: Napoli ha potuto rimediare ai suoi guai grazie agli interventi prima del prefetto Gianni De Gennaro e poi di Guido Bertolaso (spiace ma occorre aggiungere: avendo per premier Berlusconi; prima con il governo Prodi anche Bertolaso non era riuscito nell’impresa). Il Fatto allora costruisce un pezzo onde insinuare che la decisione napoletana è viziata, non va bene. I magistrati sbagliano, dovevano incriminare, ammanettare, processare. Alcuni pm lo volevano, hanno perso, è una vergogna, ora li costringono a trasferirsi.
Risultato? «Gli amici di Beppe Grillo» annunciano: «Urge mobilitazione generale!!!».
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