Salvatore, vent’anni da precario Morto 3 giorni dopo l’assunzione

da Catania

Una vita da precario. È morto al suo terzo giorno di lavoro da operaio con in tasca l'assunzione full-time, a tempo indeterminato, nella ditta di espurgo pozzi neri. A quarantasette anni, quando si pensa più a come impiegare la buonuscita e dove trascorrere la pensione.
Salvatore Smecca ci credeva in quello che faceva. E per questo, ostinatamente aveva cercato una sistemazione sicura, per dare un futuro certo a Valentina di 19 anni e Antonino di 13, le «sue perle», coma amava definire i suoi figli. Radiotecnico per passione, per la maggior parte degli anni della gioventù si era arrangiato sostituendo transistor e diodi nelle vecchie televisioni e nelle radio dei gelesi. Vent'anni fa un primo impiego saltuario in una ditta che installava ascensori a Ragusa, dove ha conosciuto Mariella, la donna per la quale ha lasciato Gela.
L'amore, il matrimonio la nascita di Valentina, il trasferimento a Marina di Ragusa, dove il menage familiare imponeva uno stipendio per campare. E così Salvatore un giorno si era presentato in albergo: «Ho bisogno di lavorare, so fare tutto», aveva detto, e in poco tempo aveva ottenuto un lavoro come manutentore. Ma gli stipendi miseri, le continue chiamate notturne legate alla reperibilità, lo avevano stancato. Nuovamente disoccupato aveva chiesto aiuto ad un'impresa dell'indotto del petrolchimico di Gela. Lavoro accordato, ma con contratto trimestrale. Un po' poco. E così il passaparola con gli amici sino alla settimana scorsa quando finalmente è arrivata la sospirata assunzione a tempo indeterminato. Contratto full-time alla Carfì, la ditta che si occupa di espurgo pozzi neri. Prima missione di lavoro al depuratore consortile di Mineo. Nella vasca della morte. «Precario per una vita ha trovato la morte alla Carfì da assunto - ricorda lo zio Antonio Burgio, cameraman a Canale 10 di Gela - è stato terribile».
A Gela, paese dove Smecca era nato e dove lo conoscevano tutti, si dispera l'anziana mamma, Graziella Burgio, ma non ha più lacrime da versare. È straziata dal dolore, mamma Graziella, rimasta vedova trent’anni fa. A tutti quelli che le si avvicinano dice: «Quanto hanno pianto questi miei occhi. Ma se alla morte di tuo padre ho trovato la forza di reagire e di lottare, ora con la tua scomparsa, Salvatore mio, non ho più energie né motivo per vivere, voglio seguirti e morire anch'io».
Uno strazio è stato l'atto ufficiale dell'identificazione del cadavere di Salvatore, nell'obitorio di Palagonia. Tra i parenti che lo hanno identificato anche lo zio Antonio Burgio. All'uscita del cimitero, con le lacrime agli occhi: «Abbiamo fatto fatica a riconoscere Salvatore. Il suo corpo era ricoperto di fango e incredibilmente rigonfio, malgrado fosse stato in una cella frigorifera. Il fango gli chiudeva le narici, in profondità. Avrà sofferto prima di morire».
Ieri i carabinieri del nucleo ispettivo per il lavoro e i carabinieri hanno eseguito una serie di accertamenti negli uffici della sede legale della ditta Carfì di Ragusa, l'azienda alle cui dipendenze lavoravano sia Salvatore Tumino che Salvatore Smecca. L'azienda ha già dichiarato che entrambi i lavoratori erano in regola e che Smecca era stata assunto da pochi giorni. Un particolare che ha lasciato perplessi i magistrati.

Il procuratore di Caltagirone Onofrio Lo Re su questo particolare vuole vederci chiaro. «È una coincidenza - ha detto il magistrato - sulla quale stiamo indagando». C’è il sospetto che la regolarizzazione avvenuta da poco sia un escamotage per coprire un vuoto contrattuale.

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