Salvatores e Casanova, si riflette sulla vecchiaia

Il cinema nel cinema è ormai quasi un genere a parte nella storia della settima arte

Salvatores e Casanova, si riflette sulla vecchiaia

Il cinema nel cinema è ormai quasi un genere a parte nella storia della settima arte. Prima o poi tutti gli autori, o presunti tali, vagheggiano di girare un film sui propri tormenti artistici e qualcuno alla fine riesce a mettere in pratica il proposito. Certamente il padre di tutti è 8½ di Federico Fellini, a cui in qualche modo è stato paragonato, solo per restare in tempi molto recenti, Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, ultimo e sottovalutato film per Netflix di Alejandro González Iñárritu. Naturalmente Fellini diventa croce e delizia, perché irraggiungibile anche se più spesso è soltanto uno specchietto per le allodole. Non fosse altro perché, prendendo ad esempio il nuovo film di Gabriele Salvatores che ancora una volta, meritoriamente, realizza un lavoro completamente diverso dai suoi precedenti, Fellini di anni ne aveva 43 all'epoca di 8½, mentre il regista di Il ritorno di Casanova ne deve compiere 73.

Quindi è evidente che la storia formalmente seducente di Leo Bernardi (Toni Servillo), affermato e acclamato regista in stato di avanzata carriera che ha scelto di mettere in scena Il ritorno di Casanova (Fabrizio Bentivoglio) di Arthur Schnitzler, è un po' l'alter ego di Salvatores stesso che riflette sulla vecchiaia. Ed è proprio questa parte in costume (ma Bentivoglio in un duello se lo toglierà completamente), paradossalmente fotografata a colori, al contrario della vicenda contemporanea in bianco e nero, a convincere maggiormente in un film colto, a suo modo sontuoso ma, in definitiva, un po' inerte, soprattutto nella parte amorosa (nonostante gli sforzi delle brave Sara Serraiocco e Bianca Pantoni). C'è un'aria di vacanza divertita, di un non prendersi del tutto sul serio.

Dove però la leggerezza dell'ironia alla Tati della domotica impazzita nella casa milanese (vera) del regista non è l'esatto contraltare di una profondità anche di sguardo, invero spezzettato in una serie di frammenti giustapposti che faticano a trovare una loro unitarietà.

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