Volevo parlare dell’uccello di Berlusconi. Non vorrei che qualcuno equivocasse alla luce delle vicende che hanno privilegiato dell’uccello l’aspetto metaforico ma, non avendo di quello nessuna nozione se non intuitiva, voglio proprio riferirmi a quello che, con mia sorpresa, si è rivelato l’uccello preferito del presidente del Consiglio.
Ero andato a trovarlo per manifestargli tutto il mio disappunto per la trascuratezza della mancanza di consapevolezza del valore delle nostre città d’arte. Nonostante l’accordo con i sindacati, disponibili a garantire l’apertura dei musei il primo giorno dell’anno, tre città, per la rinuncia del personale, avevano annunciato la chiusura dei musei. Quali? Roma, Firenze, Venezia. Incredulo, ho disposto l’apertura riscontrando l’interesse immediato di cooperative di custodi. Venezia ha così offerto ciò che i turisti si aspettavano e, non di meno, i musei che hanno ottenuto i migliori risultati sono stati quelli di fondazioni straniere e private come la collezione Guggenheim e Palazzo Grassi. Non era difficile prevederlo, non soltanto per l’equivoco della minacciata serrata ma perché le sedi del Guggenheim e di Pinault (l’attuale proprietario di Palazzo Grassi e di Punta della Dogana) sono belle, confortevoli, con buone caffetterie e, soprattutto, ben propagandate. Lo Stato invece, con il suo polo museale, ha un museo archeologico nascosto (benché in piazza San Marco), la Ca’ d’Oro che amava fare entrare visitatori per una strettoia e non per la porta principale, e l’Accademia occupata da un interminabile cantiere. Ma questi sono dati fisiologici. Ciò che mi sembrava intollerabile era l’assoluta mancanza di comunicazione negli alberghi, nei ristoranti, e ancor più nei giganteschi pannelli bianchi grandi come schermi cinematografici, orfani della vistosa e volgare pubblicità di prodotti commerciali, ma per una congiura di sovrintendenza ai monumenti e società concessionarie, per quasi un mese privi di qualunque comunicazione istituzionale, riferimenti ai musei, alle mostre, agli orari di apertura per offrire una informazione invitante ai turisti. Ma, mentre mi accingevo a rappresentare al premier tutta la mia indignazione rispetto a tante potenzialità sprecate, mi sembrava non ozioso sottoporgli un tema emblematico delle nostre contraddizioni e delle assurdità della burocrazia.
Mi aveva infatti telefonato qualche ora prima un amico professore dell’Università di Trieste, Pietro Susmel, per sottopormi un singolarissimo caso. Circa ottanta colibrì, donati all’Italia dal governo del Perù, e ormai da qualche anno ospitati nel Parco di Miramare a Trieste, stavano per essere sfrattati, come indesiderati clandestini, perché, nonostante gli accordi firmati dal ministro Altero Matteoli e dall’ambasciatore De Nardis, che avevano molto apprezzato il dono, non era mai stata stipulata una convenzione che legittimasse la permanenza di questa specie esotica di uccelli nell’habitat naturale della riserva per loro predisposta nel Parco di Miramare. Lì, sotto la cura del professor Stefano Rimoli del Centro per la salvaguardia dei colibrì, avevano trovato la più soddisfacente situazione nutrizionistica e stavano iniziando a riprodursi. Dopo aver avuto garantite quelle condizioni anche dal ministero dell’Ambiente al tempo di Pecoraro Scanio, ora, per incomprensibili incomprensioni, i poveri colibrì avevano ricevuto un’ingiunzione di sfratto entro il 10 gennaio con una lettera minacciosa del mite sovrintendente Caburlotto.
Non posso credere che nel sensibile collega si nascondesse un nemico di quei piccoli animali; ma è certo che, una volta allontanati da Miramare per essere destinati a diversi zoo italiani, quei piccoli, fragili ed innocui uccelli avrebbero perduto l’equilibrio ambientale che li aveva protetti e garantiti negli ultimi anni. Ho così pensato di raccontare la storia a Berlusconi e l’ho fatto parlare con il professor Rimoli, che gli ha rappresentato l’angosciosa situazione. Sarebbe stato logico supporre - da parte del premier - un interesse di circostanza, se non un leggero fastidio per la mia bizzarria di volerlo coinvolgere in una vicenda così singolare e marginale. E invece... invece l’argomento apparve subito interessargli ed egli prese appunti e manifestò l’intenzione di sottoporre il caso al ministro Prestigiacomo. Ma non in modo formale e distante, bensì come chi conosce bene la questione. A me e a Rimoli, infatti, il vigile presidente raccontò di conoscere bene i colibrì, per averne un numero imprecisato nei giardini della sua villa ad Antigua, luogo bellissimo spesso evocato, nel quale i piccoli uccelli cantano incessantemente dall’alba al tramonto. All’affermazione, si sarebbe potuto pensare che di quel canto insistente il presidente fosse vittima. E invece, prontamente, lui ce lo descrisse melodioso e sublime. In quel momento ho capito che i colibrì erano salvi e che l’amore per quegli uccelli di Berlusconi avrebbe favorito una soluzione positiva. L’arrivo del ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, nota animalista, mi indusse a un’ulteriore opera di sensibilizzazione, quasi per provocazione. Ma anche in questo caso, sorprendentemente, dovetti registrare che la Brambilla conosceva perfettamente la questione, e che era parimenti indignata, benché non avesse pensato di intervenire, come invece io credo opportuno.
Ma, alla fine, l’attenzione di Berlusconi mi sembrò decisiva quando, rispetto al minacciato trasferimento in diversi zoo, egli osservò che, nell’evacuarli da Miramare, per la loro congenita fragilità ne sarebbero morti almeno la metà. E questo non poteva essere. Così convenne anche la Brambilla e io me ne ripartii confortato, e con me Rimoli, nella certezza che qualcosa sarebbe stato fatto per salvare l’uccello preferito dal presidente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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