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Samaranch, il re Mida che fece ricchi i Giochi

Il marchese di Samaranch era nato a Barcellona il 17 luglio del 1920 e ha conosciuto lo sport mentre costruiva la sua carriera sociale e politica alla Iese, la Bocconi di Barcellona, provando tutto senza riuscire ad essere un campione anche se aver giocato a calcio, praticato la boxe, giocato ad hockey su rotelle, frequentando i velisti, sciando, provando con il golf, lo ha certo aiutato a capire, guidare e governare lo sport che lui ha rivoluzionato

Juan Antonio Samaranch Torellò, presidente del comitato olimpico internazionale dal 1980 al 2001, nei giorni della rivoluzione e dell'addio all'ipocrisia, dei peccati di gola provocati dal doping e dall'esasperazione televisiva, è scivolato fuori da una bella vita, dedicata soprattutto allo sport, non soltanto quello grande ed universale delle Olimpiadi, nella clinica Quiron di Barcellona, quando il suo cuore non ha più sentito la voglia di aiutarlo.
Il marchese di Samaranch era nato a Barcellona il 17 luglio del 1920 e ha conosciuto lo sport mentre costruiva la sua carriera sociale e politica alla Iese, la Bocconi di Barcellona, provando tutto senza riuscire ad essere un campione anche se aver giocato a calcio, praticato la boxe, giocato ad hockey su rotelle, frequentando i velisti, sciando, provando con il golf, lo ha certo aiutato a capire, guidare e governare lo sport che lui ha rivoluzionato. Il mondo olimpico lo ha scoperto come giornalista ai Giochi di Helsinki del 1952, l'anno dopo diventò presidente della federazione spagnola di pattinaggio e nel 1956 fu capo delegazione del suo paese alle Olimpiadi invernali di Cortina del 1956, così come a Roma 1960 e Tokio 1964.
Tutti gradini necessari per salire e far dimenticare, anche se in molti non gli perdonarono mai il suo passato con le camicie azzurre della falange franchista con le quali sfilava nel 1939, così come i suoi interventi per punire, lui catalano, chi parlava questa lingua, i discorsi per l'addio al Generalissimo che lo aveva voluto come ministro dell’Educazione e dello Sport nel 1967, un anno dopo la sua entrata come membro spagnolo nel Cio, dieci prima di mandarlo come ambasciatore in Unione Sovietica e Mongolia.
Era quello il suo mondo e ancora il suo credo quando nel 1980 divenne presidente della massima organizzazione sportiva mondiale succedendo all'irlandese lord Killanin nel congresso di Mosca alla vigilia delle Olimpiadi del grande boicottaggio americano, vincendo la concorrenza di Cross, Worrall, Daume e del tedesco Hodler, presidente dello sci mondiale. Nel suo primo mandato, poi rinnovato fino al 16 luglio del 2001 quando al suo posto fu eletto il belga Jacques Rogge, risanò il bilancio deficitario del Cio facendo diventare i Giochi il più grande evento planetario con l'apertura agli sponsor e alla televisione.
La seconda grande mossa fu lo sdoganamento olimpico per i professionisti con il suo discorso del 29 settembre 1981 a Baden Baden: «Il Cio non può correre il rischio che i migliori partecipino ai mondiali e trovino chiusa la porta dei Giochi». Vinse questa battaglia e nel 1992 a Barcellona, la sua città, ci fu il grande salto anche se questa operazione consegnò lo sport alle grandi multinazionali, ma certo quando nel palazzo di Badalona andarono in campo i campioni della Nba, quando i migliori atleti di mondo furono ammessi ai Giochi tutto è cambiato anche economicamente per una organizzazione che oggi è fra le più floride nel panorama mondiale.
Questa ricchezza, naturalmente, ha generato malattie gravi più dei boicottaggi sopportati fra il 1976 e il 1984, da Montreal a Los Angeles, passando per Mosca, perché fra il 1998 e il 1999 si scoprì che alcuni membri del Cio avevano ricevuto regali e tangenti, oltre a favori di ogni tipo, dal comitato organizzatore dei giochi invernali di Salt Lake City. Espulsioni, crisi, scandali, ma anche pulizia dell'ambiente, pur dovendosi difendere da attacchi pesanti come quello del famoso libro "I signori degli anelli" che lui fece sequestrare cercando una difesa difficile per certe disinvolte operazioni commerciali. Nel suo regno l'apoteosi è sicuramente quella dei Giochi di Barcellona 1992, una città ridisegnata urbanisticamente, Olimpiadi della riunificazione dove dopo 30 anni veniva riammesso il Sudafrica, escluso per la sua politica di apartheid, facendo sfilare sotto le bandiere nazionali i popoli della Jugoslavia dilaniati dalla guerra, aprendo le porte alla trasformazione venuta dopo il dissolvimento della Unione Sovietica.


Nella famiglia olimpica rimane il ricordo di questo architetto che ha cambiato lo sport, come dice oggi il suo successore Rogge, resta l'immagine di un appassionato vero che anche dopo aver ceduto la presidenza è sempre rimasto al centro della vita della sua creatura e noi lo salutiamo con un grande inchino come fece la gente di Vancouver nel suo ultimo viaggio olimpico.

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