Samp, oggi i dubbi sono a centrocampo

Di lui sono rimaste le lacrime - sincere - versate sui rimpianti di San Siro, di un triste e malinconico pomeriggio d'inizio maggio. Milan-Sampdoria, quartultima giornata del campionato '98-99, finì 3-2 con un'autorete di Castellini su tiro di Ganz al quinto ed ultimo minuto di recupero. Qualche istante prima, il trottolino brasiliano Cate, a tu per tu con Abbiati, anziché servire Iacopino liberissimo al centro dell'area, aveva optato per calciare addosso al portiere rossonero il pallone del possibile 2-3. Avrebbe potuto essere il gol vittoria, lo slancio decisivo verso la salvezza. Non lo fu. E, al termine dell'incontro, David Balleri pianse, pianse a dirotto proprio per questo, perché si rese conto che, a quel punto, soltanto un miracolo avrebbe potuto evitare la retrocessione alla - pur forte - formazione di Luciano Spalletti. Quel pianto a dirotto, ancor più intenso, si replicò al «Dall'Ara» di Bologna, luogo in cui, due settimane più tardi, il miracolo venne ufficialmente polverizzato dalle dissennate decisioni di Alfredo Trentalange.
A quel punto, Balleri - che non rientrava nei piani del nuovo tecnico Ventura - se ne andò in punta di piedi, al Lecce, così come era arrivato a Genova nell'estate del '95. La Sampdoria lo acquistò, insieme con Franceschetti e Maniero, dal Padova più amato dai sostenitori blucerchiati, quello che sconfisse ai rigori i cugini rossoblù nel drammatico spareggio-salvezza di Firenze. Livornese d.o.c., classe '69, il terzino ex patavino si conquistò fin da subito la stima e la fiducia di tutti. In primis quella di mister Eriksson, che fin dal primo giorno di ritiro gli affidò senza remore la fascia destra, della quale divenne titolare inamovibile, indiscutibile. Dopo il «perdente di successo» di Torsby, guidarono il Doria «el Flaco» Menotti, Boskov, Spalletti, Platt e ancora Spalletti. Nessuno di loro, nei quattro anni di David in blucerchiato, cambiò opinione sul suo ruolo. Atleta serio, stantuffo inesauribile, corridore generoso, il «toscanaccio» faceva del carattere e dell'agonismo le sue armi migliori. Tra queste, non figuravano di certo i cross, i traversoni dal fondo, il più delle volte finiti nella Sud a far felice il fortunato accalappiatore di palloni di turno. Anche per questo era ben visto e ben voluto. Era grintoso, determinato, il Balleri doriano.

Spontaneo, genuino, irruento. Fin troppo. E, pur maturando, non è mai cambiato. Si spiegano così le nove espulsioni e i 77 cartellini gialli rimediati fin qui in Serie A, in una carriera lunga 480 partite in campionato da professionista.

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