San Basilio, la memoria va nel pallone

da Roma
E allora venite, in un pomeriggio di sole, niente di meglio d’un campo di erba verde e una luminosa ottobrata romana per ricordare Pier Paolo Pasolini. E allora venite, era ieri, chissà se a lui sarebbe piaciuto il torneo: quattro squadre, ben due hanno il suo faccione sulla maglia. Luogo ultra-pasoliniano, San Basilio: un taglio di periferia a un respiro da Rebibbia e a uno sputo dal raccordo anulare. Bella idea «la partita di Pier Paolo»: squadre un po’ sgarrupate, pantaloncini spaiati, quarantenni con pancia. La «Nazionale registi» arranca, ma ha una postilla strepitosa nell’invito: «Paolo Virzì, Riccardo Milani, Mario Martone, Alex Infascelli, e Jacopo Gassman non ci sono, ma avrebbero voluto esserci». Il bello è che Gassman è venuto, è lì a bordo campo, riprende fiato, mentre al cronista si avvicina un giovin scrittore che non milita nel secondo team, l’«Osvaldo Soriano Football club». È venuto, scherza, «per autopromozione», ha 24 anni, si chiama Roberto Petrucci, spiega: «Ho fatto la scuola con Roberto Cotroneo, il più potente e famoso fra chi conosco: i miei modelli sono Salinger e Fitzgerald. Per vivere faccio nominalmente l’operatore tv, di fatto il giornalista, ho scritto un romanzetto, temo che nessuno mi pubblicherà mai».
Intanto, nella «Pasoliniana», squadra ispirata al Maestro, si segnala una punta fluida di quelle che amano svariare sulla fascia: è Giovanni Floris, mister Ballarò. Chissà che avrebbe pensato Pasolini di questo conglomerato di umanità disparate, convenute in suo nome. La quarta squadra, tutto un programma, il «Philosophy football football club». Si autoproclamano rigorosamente inglesi (!) filosofi (?) e calciofili sfegatati: le maglie fiche col faccione, le hanno portate loro. Schemi chiari, cross sulle fasce, difesa ruvida. Forse Pasolini direbbe: tutti gli inglesi del mondo giocano in questo modo: impressionano molto, non vincono mai.
Le cose vanno così: la nazionale registi, malgrado il motto «Motore, azione, goal», e la presenza dinamica di Matteo Garrone (l’Imbalsamatore) becca tre pappine dagli inglesi e finisce ko. Il giovin scrittore capitolino a bordo campo, parla del manoscritto, con vago accento romanòfono: «Lo chiamo romanzetto ma sò 440 pagine! Purtroppo pubblicare è un casino, se non conosci non vai da nessuna parte... grazie a Cotroneo me lo hanno letto alla Mondadori. Purtroppo hanno detto: “Troppo lungo”». Scuote la testa: «Però ho vinto un concorso del Comune con un raccontino furbo su un lavoratore notturno... e sono pure entrato in una antologia di racconti curata da Cinzia Tani. Una cosa terrificante - dice -, ti dovevi immaginare disabile. Però ho pubblicato, no?». Gli inglesi come treni in finale: a bordo campo li allena Geoff Andrews, un intellettuale che discetta di fuorigioco e Berlusconi. Ha scritto (pure lui) un saggio sull’Italia del Cavaliere, si intitola Not a normal country (segue copia omaggio). Lo ha divertito molto, racconta, una chiacchierata con Bossi, «intraducibile in inglese» (e ti credo). Allora venite, in questa ottobrata romana, il torneo lo ha vinto la «Pasoliniana»: Floris ha sbagliato un rigore (il che conferma la sua simpatia).

Però a fine giornata, il personaggio più bello è il giovin scrittore Petrucci, col suo carnet di speranze ingenue e scaltre e il suo «romanzetto» - quattrocento pagine. «È nello stile mio, un po’ alla Baricco: l’ho ambientato in una metropoli senza nome: il titolo è Zenith». Vuoi vedere che a Pier Paolo sarebbe piaciuto?

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