La sana corruzione ai tempi del baratto

Quando ho letto di quella preside messinese già condannata che usava il bidello come suo autista personale, ho pensato a mio padre...

La sana corruzione ai tempi del baratto

Quando ho letto di quella preside messinese già condannata che usava il bidello come suo autista personale, ho pensato a mio padre. An­che lui era preside al Sud e qualche volta il bidello, il mitico Aniello, gli dava un passaggio in lambretta al liceo.

All’epoca magari condannavano an­che mio padre, a sua insaputa, però non in nome della legge, ma del pregiudizio: ma come, un preside che gira col bidel­lo, così in confidenza...

Per aggravare la sua posizione dirò che in una festa scolastica, invitato ad aprire le danze, aveva davanti un folto gruppo di professoresse ma lui invitò a ballare la bidella. Rimase il dubbio sul movente: lo fece per non preferire una collega alle altre, lo fece per spirito cri­stiano di partire dagli ultimi o per gusto estetico, perché era più giovane e più bo­na? Siccome era un signore, un cristiano e un po’ mandrillo,propendo per tutte e tre le ragioni.

In tema di abusi e regalie nei pubblici uffici, sollevati ora dalla circolare Mon­ti, mio padre, onesto fino alla fessaggi­ne, amava però ricevere doni, e soprat­tutto doni in natura: una sportula di frut­ta fresca o di pesci ancora vivi lo conqui­stavano per sempre. Non si poneva pro­blemi etici anzi per lui era «un peccato dir di no a questo bendidio».

Era fermo all’economia arcaica del do­no, i soldi non gli interessavano e

avreb­be dato milioni per avere gratis due chili di susine, cibi del paradiso e uva baresa­na appena colti. Perché gli donavano l'infanzia. Nella preistoria scolastica e campe­stre, anche la corruzione nasceva in pu­rezza.

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