«Il sangue dei vinti non mi è piaciuto ma la fiction va fatta»

La sceneggiatura è stata rivista più volte. Nella prima stesura erano stati inseriti dei flashback che mostravano anche i massacri dei repubblichini

Michele Anselmi

da Roma

Il gran capo della fiction Rai, Agostino Saccà, preferisce non rilasciare dichiarazioni. Al pari di Giampaolo Pansa, il quale, pur avendo contribuito con spunti e suggerimenti alla prima stesura del copione, si affida totalmente alla «professionalità» degli sceneggiatori. Non di meno, è difficile contestare che lo sceneggiato in due puntate tratto da Il sangue dei vinti stia vivendo, come rivelato ieri dal Giornale, una fase difficile. Forse un blocco. Ufficialmente esiste solo una questione contrattuale con il produttore Alessandro Fracassi, legata al ritardo di sei mesi nella consegna della sceneggiatura, tale cioè da provocare il rinvio della messa in onda al 2007. Ma c’è chi parla, senza tanti giri di parole, di «intoppo politico». «Guardi, la revisione della sceneggiatura suona tanto come un alibi in vista del 9 aprile», insinua un esponente di viale Mazzini che chiede di restare anonimo. «Se necessarie, le modifiche si fanno, anche velocemente. Per Il cuore nel pozzo fu uno stillicidio di versioni, in modo da soddisfare il centrodestra senza troppo urtare il centrosinistra. Su Il sangue dei vinti c’è melina perché il responsabile della fiction, abile navigatore, preferisce aspettare i risultati elettorali per capire come muoversi». Accidenti.
Non concorda il consigliere Alessandro Curzi. In quota Rifondazione comunista, l’ex direttore di Liberazione non gradì affatto, sin dall’uscita, il libro di Pansa. Anzi, insieme a Giorgio Bocca, fu uno dei critici più appassionati: «Pur letto con interesse, mi sembrava contenesse cose già note». Ma ora ribadisce il suo convinto sì al progetto. «Intoppo politico? È ridicolo solo pensarlo. Ero reggente io, nel maggio 2005, quando venne firmato il contratto riguardante Il sangue dei vinti. Nessun consigliere, a destra come a sinistra, ha sollevato dubbi sul progetto». E ancora: «Il revisionismo c’entra proprio niente. Posso restare scettico nei confronti della ricerca di Pansa, ma lo sceneggiato è un’altra cosa. Non sarò certo io ad oppormi. Negrin è un bravo regista. Poi, si capisce, bisogna mettere a punto una sceneggiatura che funzioni sul piano spettacolare, che abbia i requisiti per piacere al grande pubblico. Guai se la Rai rinunciasse ad un legittimo controllo sul copione. Che facciamo: mettiamo solo i soldi?».
L’ultima volta che Curzi sentì parlare del progetto risale a un mese fa. «Saccà mi esponeva lo stato dei lavori riguardanti varie fiction. Alcune delle quali, ad esempio, quella su Caravaggio, stanno subendo pesanti ritardi. Alluse ad un problema di sceneggiatura. Non ho insistito, proprio perché sembrava una faccenda tecnica, con rischi di penali e cose del genere. Del resto, ribadisco, credo che Il sangue dei vinti debba essere fatto, anche speditamente. Ritengo però utile e necessario raccontare la Resistenza anche da altri punti di vista». È il caso della fiction, già pronta, su don Pietro Pappagallo, il prete trucidato dai nazisti. Non doveva andare in onda proprio in queste settimane? «Sì, io ero per mostrarla subito. Invece si vedrà per il 25 aprile. Una questione, diciamo, di sensibilità legata al periodo elettorale. Eppure pensavo che, almeno sulle Fosse Ardeatine, si potesse essere tutti d’accordo».
A quanto pare non è così. La fiction, specie quando affronta pagine oscure o rimosse della storia patria recente, scatena passioni che degradano subito in polemica politica contingente; i partiti prendono posizione e ci scappa a volte anche qualche sfondone storico, per imbarazzo o quieto vivere. Nel caso di Il sangue dei vinti, pare di capire, l’intoppo riguarderebbe un dettaglio drammaturgico non di poco conto. Di cui si fece interprete l’ex vice capo di Raifiction, Max Gusberti, di area diessina, quando suggerì, letto il primo trattamento, l’esigenza di inquadrare i personaggi di fantasia in un preciso contesto storico.

Per la serie: se mostriamo una carneficina ad opera dei partigiani bisogna informare lo spettatore, attraverso flashback ed espedienti simili, che i fascisti repubblichini si macchiarono di crimini altrettanto infami. Comprensibile. Ma anche una camicia di forza per ogni sceneggiatore. Siamo già alla par condicio dei massacri?

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