«Sanità, un’alleanza contro gli sprechi»

«Sanità, un’alleanza contro gli sprechi»

Marisa de Moliner

da Milano

Basta interventi chirurgici inutili. Utili soltanto a batter cassa. Parte dalla Lombardia una campagna moralizzatrice contro gli sprechi in sanità. A guidarla è la Fondazione Un Cuore Per Milano che ha cominciato coinvolgendo, in un convegno indetto isieme all'Associazione di Ricerca Europea in Chirurgia Oncologica e a tutti gli operatori lombardi della Sanità, dal mondo accademico alla Regione, alla Guardia di finanza e alla magistratura. Un impegno che prosegue con l'invito al ministro Storace di creare un sistema di controllo sulle prestazioni cliniche. Affinché non vengano più effettuati esami, visite e operazioni non necessari al solo scopo di ottenere rimborsi. Una pratica adottata da alcune cliniche al momento sotto inchiesta che per Maurizio Viecca, presidente della Fondazione, mette in evidenza i due maggiori problemi della sanità privata e pubblica: «La corsa al profitto ad ogni costo della prima e lo strangolamento della burocrazia per la seconda».
Ma l'intervento dei privati ha comportato anche aspetti positivi?
«Indubbiamente la nascita e lo sviluppo di ospedali privati, ha risolto, specie in Lombardia (regione ad alta attrattività rispetto al resto d'Italia), il problema di inaccettabili liste d'attesa anche per interventi chirurgici maggiori, senza investimenti diretti da parte dello Stato e in tempi rapidissimi».
Un vantaggio che pare destinato a crescere perché le richieste d'accreditamento aumentano.
«Ciò dimostra che i privati guadagnano, altrimenti chiuderebbero. Viceversa, il pubblico ha ormai notoriamente raschiato il fondo del barile».
Esiste quindi una competizione tra sanità pubblica e privata? «Purtroppo sì, solo che il privato ha come scopo il lucro e guadagna in funzione delle prestazioni, mentre il pubblico non ha scopo di lucro e pertanto non s'adopera per aumentare le prestazioni. Entrambi però sono pagati nella stessa misura: a prestazione».
Una competizione non ad armi pari.
«Decisamente, perché esistono grandi differenze in fatto di libertà d'azione, rapidità operativa, libertà d'indirizzo e logistica. Il pubblico ha vincoli contrattuali e burocratico-amministrativi cui il privato non deve sottostare. Con concorsi e gare d'appalto complessi e lenti, la burocrazia imposta dalle vigenti normative rischia d'affossare il pubblico a favore della sanità profit».
Ma la competizione tra sanità pubblica e privata è utile per il cittadino?
«In linea teorica sì, perché aumenta le possibilità di soddisfare la domanda di prestazioni. Spezza la logica di monopolio ampliando la scelta, ma richiede equità tra i concorrenti, quella pari opportunità che per il pubblico manca. Ci vorrebbero pertanto degli organismi di controllo rigorosi a tutela della qualità, perché il profit non deve assolutamente condizionare. L'interesse dei pazienti non dev'essere subordinato all'interesse aziendale che punta a effettuare più prestazioni possibili. Non è che i medici del pubblico siano più onesti di quelli del privato: semplicemente non hanno interessi economici correlati al numero di interventi. Il privato è gestito in modo più snello, più efficiente, più economicamente conveniente, ma richiede però un controllo molto serio, per evitare possibili speculazioni foriere di un nuovo tipo di malasanità».


Il privato come dovrebbe entrare nelle corsie?
«Si dovrebbe privatizzare la sanità con delle partnership com'è stato fatto nel mio ospedale dove per l'emodinamica si è optato per una gestione in service che consente una sola gara, anche se impegnativa, diversi uffici coinvolti per valutare gli aspetti tecnici ed economici e lunga durata mediante contratto pluriennale. Si tratta di un nuovo approccio: l'ospedale pubblico sfrutta così il partner privato in termini d'efficienza, flessibilità e immediatezza decisionale».

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