Sanità malata: 20 letti, 200 dipendenti

Un ospedale con venti posti letto e duecento dipendenti, denuncia il ministro Renato Brunetta. Dieci sanitari per ogni paziente, in teoria. Nella pratica, uno dei tanti casi «clinici» - tra i più eclatanti e scandalosi - di quello sfascio chiamato «sanità», in Calabria.
Una scia di inefficienza e spreco che prosegue ininterrotta da Cosenza a Reggio. L’ospedale di Taurianova, per dire, ha 29 posti letto e 149 dipendenti di personale sanitario, nel 2008 ha speso 9 milioni 950mila euro per un totale di prestazioni che non ha superato il milione 595mila euro, con una percentuale di inefficienza del 523,8 per cento. E caso simile è quello dell’ospedale di Oppido Mamertina, nel quale i dipendenti di personale sanitario sono 94 e 20 i posti letto, si spendono nello stesso anno 8 milioni 685mila euro ottenendo prestazioni del valore di 1 milione 496mila e una percentuale di inefficienza inchiodata al 480,5 per cento. O quello di Chiaravalle, nel Catanzarese, dove si spendono 12 milioni 700mila euro a fronte di prestazioni per 2 milioni 365mila euro con 163 dipendenti di personale sanitario e 38 posti letto.
Un «porto nelle nebbie» la sanità calabrese, secondo la commissione parlamentare d’inchiesta, nel quale stanno finalmente per piombare gli esperti della Guardia di Finanza. Li ha inviati il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in concomitanza con lo stop imposto dal Consiglio dei ministri alla legge regionale di riordino, ancora non in linea con il piano di rientro sanitario. Tremonti vuol vederci chiaro, anche perché il dissesto perdura da decenni senza aver lasciato indizi certi di responsabilità. Una regione, aveva spiegato l’altro ieri Tremonti a Cortina, nella quale «deve tornare lo Stato». Tanto che, clamorosamente, «la Calabria non ha più la contabilità sulla sanità. E ti dicono che viene fatta per tradizione omerica. E cioè per narrativa. Il governo Berlusconi ha mandato la Guardia di Finanza a rifare la contabilità della Calabria. E questo vuol dire mandare lo Stato a fare lo Stato».
Sull’argomento è tornato ieri anche il ministro Brunetta, ricordando l’esempio dell’ospedale del Bengodi con dieci dipendenti per ogni posto letto e ricordando come solo l’arrivo della riforma federalista, attraverso l’introduzione dei «costi standard», potrà cominciare a risolvere il problema. Una scommessa, quella federalista, che «se tutto va bene» partirà entro l’anno «nella sua completezza»: ovvero, con tutti i decreti attuativi. Il federalismo, ha continuato il ministro, è l’unico modo per «dare una mano ai liberi cittadini della Calabria per liberarsi della cattiva politica, dai cattivi sindacati, dalla criminalità».
Ma se l’ospedale dello scandalo sarà tra i primi a chiudere, molto ci sarà ancora da fare per rendere meno drammatica la situazione sanitaria in una regione dalla quale «i cittadini scappano per andarsi a curare in giro per l’Italia» e i conti sanitari, appunto, addirittura «non sono scritti, ma orali». Una realtà non sconosciuta al presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti, che in una recente conferenza stampa a Catanzaro aveva parlato della chiusura di tre-cinque ospedali e della riconversione di venti presidi regionali, «non solo per le esigenze del piano di azione regionale, ma anche come nuovo messaggio culturale».

Ancora più eclatante l’ammissione finale: «Abbiamo venti ospedali con meno di cento posti letto e tra questi undici sono a rischio sicurezza. Dai primi sopralluoghi effettuati ci sono strutture che andrebbero chiuse subito perché sono dannose per i cittadini». Non «case di cura», dunque, ma «case di malattia». Un altro motivo per fare subito pulizia.

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