Sanità, quando nessuno controlla i controllori

Chi controlla il lavoro dei medici? O meglio, chi controlla chi dovrebbe controllare il lavoro dei medici? Bella domanda, roba da telequiz. Eppure da qualche mese è in circolazione un libro, sembra trattarsi di un opuscolo ma potrebbe diventare un sasso contro una vetrina, dal titolo Ci sarà un futuro? Con sottotitolo rassicurante Una sanità migliore in un mondo migliore, scritto da Domenico De Felice, medico per l’appunto, oculista con l’hobby del golf e la passione forte per la propria professione.
De Felice ha messo assieme, in un centinaio scarso di pagine dettagliate, cinque anni di studi, di raccolte dati, di elaborazione sulla qualità della sanità, del sistema che la regola, in questo Paese che viaggia su tre velocità: quella dei docenti (i medici) quella dei discenti (i pazienti) e quella, infine, dello Stato. I casi recenti di cronaca hanno confermato che il mondo della sanità, pubblica e privata, è attraversato da potentati economici e, a volte, da un sistema che si basa sulla burocrazia, sulla routine amministrativa (per usare un’immagine morbida) e non sull’efficienza del servizio, con uno sbilancio tra numero di prestazioni ed esborsi della sanità pubblica, un’inefficienza che smantella qualunque criterio di budget ed esaspera invece gli sprechi. Spesso nei congressi medici si leggono relazioni, verificate a parole, su centinaia di casi clinici, cosa praticamente impossibile, secondo De Felice, che ha sperimentato personalmente un limite a questa ricerca statistica. In breve, il lavoro di De Felice è indirizzato a migliorare la programmazione e il carico dei costi dell’attività sanitaria e, insieme, la qualità delle prestazioni ma soprattutto a recuperare l’equilibrio economico contabile, la distribuzione delle risorse laddove, purtroppo, l’efficienza di un ospedale non è pareggiata dalla stessa efficienza del sistema sanitario nazionale. Il sistema delle «diagnosis related group», la categoria di pazienti ospedalieri accomunata da caratteristiche cliniche analoghe e che richiedono, dunque, un volume omogeneo di risorse ha portato a spese clamorose, inversamente proporzionale al benessere del paziente e della società. Il ruolo della Regione diventa in tal senso determinante, nel controllo. Nonostante il nostro Paese figuri, dopo la Francia, nell’eccellenza europea dell’assistenza medica, si può fare di più, molto di più.

Un maggiore coinvolgimento dei medici nello «studio» dei propri pazienti, accentuando la percentuale dei controlli, una analisi continua del lavoro, utile per la ricerca e, innanzitutto, essenziale per evitare gli sprechi della sanità pubblica che si limita ad erogare, infine il tentativo di riportare il rapporto tra medico e paziente a quello che era, diretto, personale, immediato, trasformatosi invece in un contatto «schematico» «statistico», «anonimo». Togliendo, dunque, dal titolo del libro di De Felice il punto di domanda: ci sarà un futuro.

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