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Sanremo, liberi di accoltellare giudici e cancellieri

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(...) Per capire è necessario un passo indietro. La notizia era rimbalzata sui siti internet tra gli aggiornamenti provenienti dalla riviera del ponente ligure in un tamtam mediatico rapido e incompleto: «Nuovi metal detector al Tribunale di Sanremo - dicevano le agenzie - uno strumento che, finalmente, adeguerà anche il palazzo di giustizia alle previsioni in materia di sicurezza». La data a margine è perfino recente. È il 24 maggio di quest'anno quando le agenzie battono la notizia. Una good news in pieno stile. Bravi. Bello. Ottimo. Applausi. Un esempio di buona gestione? Forse. Fino alla fine di maggio infatti, l'unico presidio dentro e fuori dal Palazzo di Giustizia, erano le telecamere a circuito chiuso. Occhi elettronici che, tuttavia, soffrono di un limite piuttosto evidente: servono quasi sempre a frittata avvenuta per risalire, o tentare di risalire, a chi ha compiuto un certo misfatto. Poi qualcosa è cambiato. Una decisione che, in questi casi, dovrebbe spettare al procuratore generale della Corte d'Appello che, di concerto con il presidente del Tribunale, adotta provvedimenti del caso per i tribunali a rischio, dotandoli di metal detector.
Ed ecco così, a fine maggio, arrivare all'ingresso della Procura il nuovo gabbiotto. Uno scanner e la costruzione di due ingressi dedicati, uno sulla destra per l'accesso di magistrati e addetti ai lavori e uno sulla sinistra riservato al pubblico. La forma ricorda un po' quella delle porte delle banche. Apri il portoncino. Entri e attendi, se non c'è nulla di sospetto, il via libera della guardia all'ingresso che fa scattare l'apertura della porta. Tutti i metalli anomali fanno, o dovrebbero fare scattare l'allarme e l'intervento della polizia giudiziaria che effettua le relative perquisizioni. Così anche per l'uscita. Uno strumento che dovrebbe salvaguardare la sicurezza. Diciamo dovrebbe perché, in quel di Sanremo, non è così. Eppure gli apparecchi ci sono tutti. Guasti o no, in ogni caso non segnalano nulla, tant'è che si può tranquillamente entrare armati.
Nello specifico l'arma è un coltello da cucina. Impugnatura lunga, manico nero e una lama da 10 centimetri. Non è nato per uccidere ma lo strumento, nelle mani sbagliate, si adatta al ruolo senza problemi. E sarebbe potuto essere un coltellaccio anche più micidiale. Nascosto in una borsa, occultato tra fogli, block notes scarabocchiati, penne e qualche giornale passa completamente inosservato. Non c'è controllo che tenga. Salita la rampa che introduce al metal detector il dubbio di sentir suonare un allarme c'è. Invece si passa veloci. Niente squilli di trombe. Niente poliziotti che ti piombano addosso in cerca dell'arma letale. Niente di niente. Questa è grossa, si potrebbe pensare. Non suona. Da lì la porta viene aperta dal piantone. Entrati nell'anticamera si attende la chiusura alle spalle e poi altro permesso e la porta di fronte spalanca l'accesso al Tribunale.
Una sezione civile, una penale a due piani di distanza. C'è anche l'ascensore. Si entra, si raggiunge come dimostrano le foto l'ufficio del giudice di turno o del cancelliere e c'è tutto il margine per una fare strage. Se passa un coltello niente vieta che possa essere introdotta all'interno del palazzo persino una pistola. Il corridoio, poi le scale e si è al primo piano, sezione civile. Una decina di metri e, in fondo a destra, l'ufficio di un giudice del lavoro. Nessuno che guarda. L'unico occhio indiscreto quello della telecamera, ma neanche un poliziotto arriva a controllare.

Dalla borsa viene estratta la lama e la foto dimostra che il «killer» arriva ovunque. Poi di nuovo giù per le scale, davanti all'uscita e attraverso il rilevatore. L'unico suono sullo sfondo un telefonino che squilla. Per il resto silenzio. Il metal detector, quello no. È muto.

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