MilanoLì per lì vien da dire: e il dialetto? Per due mesi è sembrato certo che allAriston arrivasse la calata dei lanzichenecchi e che il Festival di Sanremo fosse destinato a diventare addirittura «leghista» (Repubblica docet).
Invece ciccia.
Ieri sono stati annunciati i nomi dei sedici (e non più quattordici) Artisti che si giocheranno la vittoria della sessantesima edizione e solo uno, Nino DAngelo, canterà almeno parzialmente in dialetto la sua Jammo jà esattamente come aveva fatto nell86 con Vai che iniziava senza imbarazzi con un napoletanissimo «accussi te ne vaie». Insomma, tanto rumore per nulla e tanto di cappello al direttore artistico Gianmarco Mazzi che ha messo in piedi forse il miglior cast degli ultimi anni, equilibrato, aggiornato e pure coraggioso. Certo si paga il dovuto omaggio alla tradizione e quindi in lista cè Toto Cutugno, che è il recordman festivaliero visto che sarà allAriston per la quindicesima volta e speriamo che stavolta chiuda con meno polemica dellultima (scambio di battute e invettive alla conferenza stampa finale). Ma, dopo di lui, i soliti noti sono soltanto Enrico Ruggeri, attesissimo, e pure Pupo che però, essendo lautore della canzone, si è scelto due partner niente male: uno di altissimo livello musicale, il tenore Luca Canonici. Laltro di strepitosa popolarità, visto che è Emanuele Filiberto di Savoia. Canteranno Italia amore mio, condensando quanto di più popolare cè nel nostro immaginario (e pure in quello degli stranieri): il bel canto, la gigioneria, leleganza.
Poi, novità.
Cè Irene Grandi, che era stata rifiutata da Baudo con Bruci la città poi diventato un tormentone. Cè Arisa, rieccola: lei continuerà a essere una sorpresa. E ritornano Simone Cristicchi, Fabrizio Moro e pure Povia che ormai non ha limiti: dopo aver incertamente pontificato sullomosessualità di Luca era gay, stavolta ci ragguaglierà su Eluana Englaro, che è il vulnus della nostra etica, lautentico caso sul quale per rispetto dovrebbero intervenire soltanto gli esperti (e per favore, signor Englaro, eviti le comparsate). Per il resto, il cast del Festival di Sanremo è, volenti o nolenti, la fotografia più puntuale della nostra musica leggera. Senza dubbio, per evitare la nostalgia canaglia di chi pensa che si stava meglio quando si stava peggio (per dirla tutta, quando cerano Matia Bazar o Bobby Solo o tonnellate di Al Bano), si sente il profumo fresco della novità per lo meno con Malika Ayane, una delle più promettenti, e con Noemi, autentico talento che, passando per X Factor, si è rivelato essere uno dei più versatili in circolazione. Già, i talent show. Il più talent di tutti è naturalmente Morgan che arriva intasato da X Factor con un brano perfetto per lui, La sera, e in una situazione che lo incorona già come uno dei candidati alla vittoria. Televisivamente, è potentissimo. Musicalmente, chissà. Molto più imprevedibile è la sorte di Marco Mengoni, il Mika italiano che proprio lui ha imposto nello show di Raidue: la sua canzone è, comprensibilmente, lunica senza titolo perché è ancora in corso dopera. Dallaltra parte, sintende dal fronte Amici, cè Valerio Scanu, un altro talento forse immaturo, una voce che è ancora alla ricerca dellesperienza giusta per colorarsi. Vedremo. Chi non ha bisogno di presentazioni sono i Nomadi, che avranno alla voce Irene Fornaciari al posto di Danilo Sacco. Scelta complessa, risultato incerto: ma le premesse ci sono tutte e la voce della figlia di Zucchero, rugginosa quanto basta, è fatta apposta per intercettare il loro rock stradaiolo e popolare. Insomma, i sedici cantanti in gara, quelli che da oggi inizieranno quel complicatissimo percorso che poi finirà, se va bene, a mezzanotte del 20 febbraio, sono pressoché inattaccabili, capaci, come dice Mazzi, «di far parlare ed emozionare» e comunque, stando alla conduttrice Antonella Clerici, «effervescenti e di qualità». Intanto, il segnale più importante è stato dato: Sanremo si è svecchiato. Ha saputo tenere conto dellattualità e lo ha fatto senza compromessi da manuale Cencelli.
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