Come un depresso porta con sé la fiaschetta per rianimarsi con un goccino, così Romano Prodi tiene a portata di mano il suo tiramisù: Giulio Santagata.
Giulio è il fantasista che ha dato la sveglia al letargico Professore inventando per lui i viaggi elettorali in pullman, in Tir, in treno, la celebrata Fabbrica del Programma e altre lepidezze. Da una dozzina di anni, i due sono inseparabili come la cozza e lo scoglio.
Giunto a Palazzo Chigi, Romano ha studiato il modo di tenersi vicino il suo orsacchiotto. Ha compulsato le planimetrie ministeriali e lo ha nominato ministro per l'Attuazione del Programma. Il ministero non conta un piffero ma ha il vantaggio di avere la sede nel palazzo di fronte al suo, in Largo Chigi, 19. Al bisogno, Romano fa un cenno dalla finestra e l'altro vola.
Tra gli occupatori delle istituzioni del clan Prodi - i Parisi, i Gobbo, i Richy Levi, i De Castro, i Sircana, i Micheli, gli Enrico Letta - il Nostro era il meno noto. La promozione lo ha messo sotto i riflettori. Ma, abituato a servire nella penombra, il faro non gli ha giovato.
Giulio, in quanto ministro, è uno scaldasedie. In otto mesi di nulla, ha solo concepito l'Albero del Programma presentato in anteprima all'adunata del governo del 12 gennaio nella reggia di Caserta. L'Albero contiene tra rami e foglie tutto ciò che il gabinetto Prodi ha l'ambizione di fare nei prossimi quattro anni. Descrivere questa follia è aldilà delle mie forze, ma potrete toccarla voi con mano cliccando su www.governo.it. L'Albero, che assomiglia a un platano, è alto undici metri, equivalenti, se decidete di stamparlo, a 372 fogli di fax. Dalla pianta santagatiana penzolano 1464 foglie. Ognuna rappresenta una riforma dell'immane programma, battezzato con modestia prodiana: «Per il bene dell'Italia». Ci troverete tutto ciò che avete sempre desiderato: il «Multipolarismo», il «Multilateralismo», la «Tutela della biodiversità», la «Nuova alleanza con la natura». Bighellonando tra le foglie vi imbatterete pure nella «rinascita culturale come strategia della crescita», la «piena e buona occupazione» e l'allegra prospettiva, «migranti e nuovi italiani». Un'orgia di chiacchiere che illustra alla perfezione il guazzabuglio dell'Unione e che, grazie alla trovata di sintetizzarla con l'albero, diventa puro casotto. Basti pensare che mentre il programma del governo era composto di ben 281 pagine - e solo a guardarlo c'era da spararsi- la sua «semplificazione» grafica ne contiene cento di più.
Questa idea di Giulietto è tutto quello che, in apparenza, ha giustificato il suo ministerial stipendio da maggio 2006. In realtà, è pagato per tenere bordone al principale. Santagata è il primo ministro repubblicano addetto in esclusiva alla persona del premier. Prendete a caso le sue dichiarazioni. Non ce n'è una che non abbia per oggetto Prodi. In tutte, ne esalta il carattere e lo stile di governo. Ha superato se stesso difendendo la Finanziaria 2007, la più tartassatrice a memoria d'uomo. Celeberrima la sortita del 10 dicembre su Repubblica, il quotidiano che col Corriere della Sera gli dà più corda. Al giornalista che accennava al serpeggiante malcontento, ha risposto: «È questione di tempo. La Finanziaria si difende da sola. Per la prima volta non l'abbiamo caricata sulle spalle dei lavoratori dipendenti e si capirà presto. Con le buste paga di gennaio». Le buste sono arrivate. Vuote. Per tutti, pensionati e stipendiati. A uno, che conosco come le mie tasche, hanno sfilato dalle suddette 110 euro da moltiplicare per 13. Per la prima volta, il salario dell'anno sarà inferiore a quello dell'anno prima. Mai successo, da che mondo è mondo. Anche i pochi che non si sono ritrovati una tassa in più, hanno preso di meno. Infatti si è scoperto - e nessuno ce l'aveva detto prima - che sono aumentati i contributi previdenziali a carico del lavoratore. A marzo poi, arriverà pure l'innalzamento delle due Irpef, comunale e regionale. Così Giulietto, per eccesso di zelo, ha fatto la figura del pinocchione. Cosa che probabilmente non gli fa né caldo né freddo avendo già da tempo deciso di stare sulla terra solo per turibolare l'indifendibile Romano.
Era col premier anche il giorno in cui fu fischiato al Motor Show di Bologna. Dove fosse non si sa. Santagata non solo ama stare nell'ombra ma è pure di modeste dimensioni. Ha, questo sì, una barba sale e pepe e un bella pancetta ma insufficienti a farlo risaltare tra le altre barbe e pancette del Motor Show. Che ci fosse è però certo. Tant'è che a pescarlo nella ressa è stato, guarda caso, un cronista di Repubblica che gli ha chiesto di commentare gli zufoli in cui era incappato il primo ministro. Invece di stare in tema, Giulietto è partito per la tangente. Sono cose che capitano, ha detto, quando si è democratici come Prodi. «Si è presentato al Motor Show praticamente da solo, quasi da normale cittadino, soltanto con un paio di uomini di scorta. Sempre meglio di un premier che se ne sta lontano dalla gente, con un muro di 60 uomini di protezione, come faceva Berlusconi». Ma allora, è vizio. Se c'è uno che ama patologicamente i bagni di folla, quello è proprio il Cav. Che, infatti, per farsi bello, si beccò due anni fa un treppiede in zucca mentre gironzolava tra le bancarelle di Piazza Navona. Insomma, Giulietto è proprio un pinocchietto travestito da ministro.
Santagata è un ex comunista. È nato 57 anni fa a Zocca in quel di Modena, paesotto dell'Appennino modenese sugli 800 metri, meta di villeggiatura emiliana. Il babbo, Ciro, era un insegnante e un impegnato dc di sinistra. Fu capogruppo al consiglio comunale di Modena e presidente dell'Ente turismo. Sul finire degli anni '60, tra Sessantotto e autunno caldo, Ciro ebbe una notevole sbandata a sinistra. Il suo caso fece scalpore in città. Non è chiaro se abbia aderito al Pci, ma certo gli si è avvicinato parecchio, prima di calmarsi e fare dietrofront. Con la moglie, casalinga, ha messo al mondo due figli, Marco, il maggiore, oggi sessantenne e Giulio. Marco è diventato un noto petrarchista e insegna Letteratura italiana all'Università di Pisa. Anche lui è di sinistra e ha una filosofia spiccia: «O si sta con i poveri o si sta coi ricchi».
Giulietto, che scese presto dalla montagna per studiare a Modena, era uno studentello di normale rendimento scolastico. Magrolino e coi capelli neri veniva chiamato Zeg dai compagni, un soprannome breve e rapido come lui era scattante e dinamico. Un piccoletto volitivo e senza complessi al punto che giocava a pallacanestro nella stessa squadra di quel lungacchione di Carlo Giovanardi, futuro ministro dell'Udc, e di altri coetanei molto più fustoni di lui. Non risulta che in quegli anni avesse delle ragazze. Si ricorda invece che filosofeggiava sulle donne con toni piuttosto maschilisti. «Ci sono due categorie: le belle e le impegnate», diceva. E per impegnate intendeva quelle bruttine e saccenti che, alla vigilia del '68, cominciavano a infittirsi come mosche. Si è sposato tardi e ha avuto due maschi. La moglie è nota per avere intrapreso diverse attività presto abbandonate. Tanto che Giulietto ha spesso detto agli amici scherzando: «Trovatele qualcosa da fare, se no rompe». Lui, infatti, è sempre molto indaffarato e con poco tempo per dare retta.
Dopo un po' di barricate sessantottine e la laurea in Economia a Modena, Santagata entrò nel Pci. È stato dirigente alla Programmazione della Regione Emilia Romagna e braccio destro dell'assessore al Bilancio, Germano Bulgarelli, ex sindaco di Modena e noto «migliorista», come erano chiamati i comunisti di «destra». Entrò così anche nel giro delle cooperative rosse e di Lanfranco Turci, presidente pci della Regione, oggi deputato della Rosa nel Pugno.
Giulietto, a un certo punto, si mise in proprio. Fondò una società di consulenza e iniziò a lavorare per i privati. Con più larghi orizzonti, il rosso giovanile si stinse. Poi crollò il Muro, venne Tangentopoli e il Pci cominciò a macerarsi tra il cambio del nome e il tentativo di farla franca nei tribunali. Tutto troppo complicato per Zeg che, dopo 20 anni di militanza, lasciò svelto i comunisti, entrò nel solido mondo di Prodi e nel 2001 fu fatto deputato.
Santagata è iscritto alla Margherita, ma del partito se ne impipa e nelle sezioni di Modena è uccel di bosco. Gioca per sé, senza altro riferimento che Prodi. Se il premier fondasse l'Ortensia, si accaserebbe all'istante nel nuovo fiore.
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