Santini, pazzi e guru da spot Tre scommesse per il potere

Qui, leggi Milano, si vendono e si ingaggiano numeri uno. Qui si cercano numeri uno. C’è quello autenticato dallo spot, ma gli altri? C’è modo e modo per comandare. Milano ne ha scelti tre. E per ora funzionano. È curioso, ma sportivamente affascinante, forse eccitante, ritrovare nelle voglie di una città, e di una dirigenza, la fantasia che porta al potere, al dominio, all’essenza dello sport. Detto in breve: vincere. Ecco, nel giro di venti giorni, la città è tornata capitale del «vende moda». Ha cominciato il Milan, la settimana prima di Natale, aggiungendo al suo mercato un altro pazzo di successo. Ha proseguito Moratti seguendo il vecchio istinto: cambia tecnico. E alla vigilia di Natale ha scoperto il quadro d’autore o d’attore. È passato dal santone autenticato (fosse Mourinho o fosse l’incompreso Benitez) al santino rampante.
Infine si è intromessa la Milano del basket, che ha aggiunto alla sua griffe sulle maglie quella della panchina: Dan Peterson è sempre stato un guru da spot. Per lo sport e per se stesso. Per i suoi successi e per quelli della squadra che allenò. Sempre Nano ghiacciato, e non lessato come potevano far pensare i 75 anni che compie proprio oggi e che festeggerà, a Cremona, con la panchina numero 500. Mediaticamente un successone. Il campionato dirà il resto. Ma l’Armani con i vecchi indomiti, sul campo e fuori, ha sempre cavato il meglio della sua storia. In Italia, sui giornali e in Tv, si è parlato di basket come neppure per un derby Milan-Inter. La straordinarietà del tipo e del pedigrèe da personaggio sono stati una ventata di aria fresca, che poi è la cosa più incredibile rivolgendosi a un 75enne. Ma proprio Peterson incarna, in questa storia milanese, la sintesi tra le idee di rinnovamento di Milan e Inter. Ovvero: nonno Dan è un talentuoso ricco di intelligenza, usa le parole come formula e non come miscela, gli bastano tre concetti per indirizzarti, per delineare la strada, mostra il carisma per sostenere la credibilità, è furbo ma conosce l’alchimia per trasformarsi in intellettuale.
Il Milan ha puntato tutto sulla qualità, dapprima ha portato a casa Ibrahimovic, poi ha acchiappato l’affare con Cassano. Due talenti, non certo due cime del pensiero. Gente che va a istinto, e non proprio a raziocinio. La società ha creduto nell’importanza dei giocatori, riscoperto l’antica vena: da Liedholm e Nordhal a Rivera e Schiaffino, da Baresi e Van Basten a Savicevic e Donadoni, da Kakà a Ibra, il percorso rossonero si è snodato sempre attraverso la ricerca del talento e della qualità. Ci sono stati allenatori che hanno fatto epoca, ma molto di più i loro giocatori. Comunque i giocatori. Guarda caso, il Milan è tornato sulla vecchia strada nel momento in cui vuol fortemente tornare squadra di potere. Perché il potere si sposa sempre al vincere, più che ai ricordi.
E l’Inter, che in questi anni è stata squadra di potere, a sua volta si è riaffidata ad antichi usi e costumi. Che, per Moratti, vuol dire sfogliare l’album degli allenatori e per la storia nerazzurra identificarsi nel marchio di fabbrica di un tecnico: successe con Helenio Herrera, è capitato con Giovanni Trapattoni e, ultimo arrivato, Mourinho. Chi non conosceva Herrera è rimasto affascinato da Mou. Chi non ha vissuto l’epoca di Dan Peterson, ha creduto che Mourinho fosse l’unico profeta della terra. In realtà Herrera era anche peggio di Mou nel rapporto con giornalisti e giocatori. E se Dan Peterson sembrava un uomo venuto dalla luna, dieci anni più avanti di tutti quando guidava il Billy, oggi alle prime conferenze stampa ha segnato ancora la distanza fra se stesso e i tecnici moderni, anche del calcio.
Lo SpecialOne sarebbe impallidito nell’ascoltarlo trenta anni fa. E l’orator cortese dell’Inter di oggi avrà tanto da imparare. Anche se ieri ha cercato l’ennesima furbata, quando ha richiamato Mou in panchina accanto a sé. «Siamo complici, l’ho consultato spesso, mi ha aiutato molto». La storia dell’Inter ha bisogno di santoni. Per adesso Leonardo è un santino che, a Peterson, contende l’uso della parola, ne rispecchia l’intelligenza furba. Ma se Dan dice: «Ai miei giocatori chiedo di sputare sangue». Lui contrappone l’elogio dell’immaginetta buonista: «Per me il calcio è allegria e voglio che i giocatori lo sentano così. Nessun peso, io non vivo pesi, vivo emozioni».
Per ora, Leo offre una centrifuga di parole: stima, fascino, allegria, gioia, emozioni, il calcio esiste da 100 anni. Una l’ha copiata da Mourinho, empatia. Altre verranno. Ti circuisce, ma non ti colpisce. Con i giocatori potrebbe bastare. Atteggiamento tipico da rampante, certo. Ancora inespresso come allenatore. Ma può copiare. Peterson ha già un curriculum alle spalle.

Ibra e Cassano sono già qualcuno, pur con tutti i distinguo del caso.
Ma va bene così. Milano ci prova: vende moda con una scommessa, una antica certezza e due venditori di gol e improvvisazione. Vediamo chi avrà ragione.

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