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Santità, pedofilia e ricatti milionari Il grande intrigo che scuote Verona

Dopo le denunce a "scoppio ritardato" di quasi 70 allievi del Provolo il vescovo contrattacca. E parla di una tentata estorsione di un ex studente

Santità, pedofilia e ricatti milionari 
Il grande intrigo che scuote Verona

Violenze sessuali. Masturbazioni. Giochi erotici. E poi schiaffi e bastonature. Nei bagni, nelle camerate, nella aule, ovunque. Le tonache nere dei preti e le divise dei bambini sordomuti. Per anni, le prestigiose pareti dell’Istituto Provolo di Verona avrebbero nascosto una sequenza infinita di episodi di pedofilia. I sacerdoti dell’austera Congregazione Compagnia di Maria avrebbero approfittato dell’innocenza dei bambini, e qualche volta delle bambine, già segnati nel fisico. È uno scenario da incubo quello che affiora dalle pagine del settimanale L’espresso e che rimanda ad un angolo del Nordest popolato da orchi vestiti di nero e povere vittime senza voce. Un quadro che il vescovo di Verona Giuseppe Zenti respinge con sdegno: «È una montatura. Un cumulo di menzogne».
Attenzione: siamo nel Nordest, ma non in quello ricco e inquieto di oggi; no, siamo nella Verona ancora contadina, in bianco e nero degli anni Cinquanta. Questa fiaba senza lieto fine comincia addirittura in quel periodo e va avanti, incredibile, fino al 1984. Non un episodio o due, per quanto gravi, ma una catena di montaggio della sodomia: decine di preti e fratelli laici pronti ad abusare di moltissimi ragazzini, perdipiù menomati nell’udito e nella parola, come nel celebre e livido film di Siodmak «La scala a chiocciola». Oggi ben 67 ex allievi parlano di violenze di vario genere. E in una lettera corale scrivono: «Abbiamo superato la nostra paura e la nostra reticenza». Spezzando le pesantissime catene del silenzio.
I numeri sono imponenti, i conti però non tornano. Possibile che questo girone dantesco del male emerga un quarto di secolo dopo? Ormai, gli eventuali reati sono prescritti. Alcuni dei presunti aguzzini sono morti. Altri sono in pensione, una decina operano ancora nelle stanze del Provolo. E questa, solo questa, sarebbe la motivazione, in verità un po’ debole, della denuncia a scoppio ritardato. Le vittime, riunite nell’Associazione sordi Antonio Provolo, ripetono: «Mai più». Così dopo aver taciuto per una vita, aprono squarci agghiaccianti sulle loro infanzie martoriate. Bruno, 60 anni e allora il bello della classe, elenca ben 16 carnefici: «Fino al quindicesimo anno sono stato sodomizzato e costretto a rapporti di ogni genere dai seguenti preti e fratelli». Segue l’interminabile lista.
Siamo o saremmo in presenza di un’offesa all’umanità senza confini. Nascosta sotto il coperchio dell’omertà. Ma ormai lontana trenta-quaranta anni. Aggiunge Carlo, chiamando in causa un altro sacerdote: «Mi costringeva spesso con punizioni (in ginocchio per ore) e percosse (schiaffi e bastonature) ad avere rapporti con lui». Ancora, quel prete senza anima lo svegliava di notte, «per portarmi nei bagni dove mi sodomizzava o si faceva masturbare». Ed Ermanno racconta la vergogna delle vergogne: «La violenza è avvenuta anche nella chiesa adiacente». La diabolica congrega non si sarebbe fermata nemmeno davanti al tabernacolo.
Non abbiamo dimenticato», affermano col linguaggio dei sopravvissuti all’Olocausto molti ex, ormai con i capelli bianchi, dando un nome e un cognome ai loro presunti aguzzini. Resta il mistero: come mai quella nube nerissima che ha oscurato il cielo per decenni è rimasta confinata nelle scale e negli scantinati del Provolo? Che cosa ha riacceso la memoria di decine di vittime? Monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, costretto a tenere la conferenza stampa più angosciosa della sua vita, narra un’altra storia, fatta di business, di convenzioni, di soldi. E che gira intorno ad un tentato ricatto con regista anche questo con nome e cognome: Giorgio Dalla Bernardina, Presidente del’Associazione degli ex allievi: «Dalla Bernardina venne da me qualche mese dopo il mio arrivo a Verona come vescovo nel giugno 2007 e, alla presenza di testimoni, mi fece presente che se non si fosse risolto il problema della loro sede all’Istituto Provolo e se la Congregazione non avesse sbloccato l’utilizzo della tenuta “I cervi”, avrebbe provveduto a rendere pubblici episodi di pedofilia accaduti nell’istituto». Quali? «Alla mia richiesta di indicare il nome di qualche sacerdote incriminato - va giù duro il vescovo - vi fu un rifiuto categorico». Allora. Oggi, freddo come da copione, arriva il piatto ricco della vendetta.
Non c’è il cielo in questa storia, nemmeno il cielo dei santi. Monsignor Zenti sbarra gli occhi e torna alle presunte rivelazioni di Bruno: «Lui dice che più volte fu condotto nel palazzo di un monsignore di nome Giuseppe». Dove sarebbe stato sodomizzato e costretto a giochi sessuali. «Visto che si parla del 1962-64 - s’indigna il vescovo - il riferimento è a Giuseppe Carraro che è in attesa di beatificazione. Qui siamo alla follia». E in effetti Giuseppe Carraro, vescovo della città dal 1959 al 1978, è un vanto della Verona cattolica. Oggi quelle righe intinte nell’inchiostro torbido dei ricordi farebbero precipitare pure lui negli inferi della pedofilia, condannati senza appello anche da papa Ratzinger. Saremmo, insomma, al di là di tutte le statistiche, anche le più pessimistiche, sul tradimento della missione cristiana. E monsignor Zenti scaglia l’anatema contro Dalla Bernardina: «Ha plagiato queste persone, mi viene il dubbio che le dichiarazioni le abbia scritte lui. La strumentalizzazione di questi sordomuti è aberrante».
Parole affilatissime da una parte e dall’altra.

E un labirinto di vergogne che non sarà facile percorrere fino in fondo.

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