Santoro arruola pm e Benigni nel suo partito

Non è un nuovo partito, ha assicurato Michele Santoro. Ma sembra molto un predellino fabbricato per l’occasione dai metalmeccanici della Cgil per permettere all’anchorman di imitare le gesta di Silvio Berlusconi. Lui smentisce, ma da qui a dire che il conduttore di Annozero non ha ambizioni da leader politico ne corre.
Intanto quello andato in onda ieri a Bologna per la festa della Fiom «Tutti in piedi entra il lavoro» è stato un evento ritagliato su misura, più che sul sindacato dei metalmeccanici della Cgil, sul personaggio emergente e più carismatico della sinistra italiana, che è intervenuto «Fuori campo», lasciando spazio alla sua squadra. Che, come ogni squadra, ha anche un «numero 10» fuoriclasse. Il colpo a sorpresa della campagna acquisti di Santoro è Roberto Benigni, comparso sul palco tra gli applausi: «L’Italia s’è desta! - ha esordito il comico rispondendo presente alla chiamata alle armi di Michele -. La Fiom è il più grande sindacato degli ultimi 110 anni». Poi qualche battuta su Brunetta e i precari, qualche slogan da Primo maggio e un abbraccio ideale con il nuovo movimento santoresco.
L’appuntamento «multipiattaforma», trasmesso su Internet e da un circuito di televisioni locali, come era già successo con Rai per una notte e come si conviene a una cosa che nasce «dal basso», ha comunque avuto l’aria di un congresso. Forse, non la fondazione di un partito, ma solo perché un recinto così angusto Santoro lo lascia volentieri ad Antonio Di Pietro o a Beppe Grillo, ai quali ultimamente ha riservato frecciatine e toni tra il bonario e il sarcastico. Il leader di Italia dei valori ha ricambiato mandando l’evento in diretta sul suo sito e Grillo non ha mandato nessun «vaffa» al conduttore che lo ha invitato nella Rai ideale, a patto che metta da parte il movimento Cinque stelle.
D’altro canto, chi ieri era invitato è stato ben contento di finire nella locandina insieme a Santoro. E chi non è stato invitato, ha cercato di rimediare come poteva. Per esempio il popolo viola, che non c’era, è entrato nel dibattito annunciando una class action contro la Rai se non tornerà Annozero.
Quasi delle consultazioni, insomma, perché quella che ha presentato ieri Santoro è una coalizione, fatta di pezzi di società e politica, quelli che stanno dalla parte giusta. Ci sono i vecchi amici, come Marco Travaglio e il suo Fatto quotidiano che ha sponsorizzato e dato supporto tecnico alla kermesse della Fiom. C’era il pm Antonio Ingroia, «magistrato, cittadino e lavoratore» che se l’è presa con le «troppe campagne stampa contro»; uguali a quelle che colpirono Borsellino e Falcone. C’era Serena Dandini, che ha strappato il primo applauso attaccando il leader della Uil Luigi Angeletti. Non quello ufficiale e ingessato dell’area Pd, ma quello colorato e battagliero del collega Rai e del Fatto quotidiano. C’era Vauro, che ha strappato il secondo e il terzo battimani attaccato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e l’amministratore di Fiat auto Sergio Marchionne.
C’era Corrado Guzzanti, ma solo in video. C’era anche Paolo Flores D’Arcais che, prima dello show, ha messo insieme battaglie sindacali (chiaramente della sola Cgil) cortei degli studenti e voto referendario, per dire che questo, in fondo è lo stesso «ciclo di lotte iniziate con il Sessantotto», che non ha ancora trovato il suo naturale sbocco politica, per colpa dei partiti di sinistra, che sono inadeguati. C’era tutto lo staff di Annozero. C’era Maurizia Russo Spena, la precaria del blitz al convegno con Renato Brunetta.
Il nuovo ingresso, se si vuole, è proprio quello dei padroni di casa. La Fiom è una presenza costante in Rai (sul monopolio delle tute blu Cgil pendono interrogazioni in commissione di vigilanza e proteste formali degli altri sindacati). Ma un’associazione così diretta e ufficiale tra la federazione fondata 110 anni fa e il «marchio» Santoro ancora non c’era stata.
Segno che Santoro, se deciderà di scendere in campo, lo farà sotto il segno della sinistra senza se e senza ma. La Fiom non è solo una sigla della Cgil. E il sindacato che ha dato gatte da pelare agli ultimi tre segretari generali. Ha condizionato Sergio Cofferati, che cercò di cavalcare la linea antagonista dei suoi metalmeccanici, ma fini per subirla.

Ha segnato gli anni di Guglielmo Epifani e ha costretto il neo segretario Susanna Camusso in un angolo angusto, fino a mettere la Cgil in rotta di collisione con la Fiat. Leader della sinistra anche perché l’unico in grado di domare il sindacato di Maurizio Landini.

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