Letteratura

Sarcastica e irriverente Mafalda è l'anti-Barbie

La bambina terribile di Quino ha anticipato di decenni Lisa Simpson. Ecco chi era davvero il suo creatore

Sarcastica e irriverente Mafalda è l'anti-Barbie

Tra i riti propiziatori che dagli anni Settanta del secolo scorso ad oggi hanno accomunato (e accomunano) intere generazioni di scolari e studenti nel rientro tra i banchi, uno dei più amati consisteva nella scelta del diario scolastico. Una volta ammainati gli ombrelloni, già dai primi di settembre ci si fiondava nelle accoglienti cartolerie dei centri storici delle nostre città, per scegliere quell'agenda che ci avrebbe accompagnati fino alla fine dell'anno scolastico, gradualmente riconvertita in un faldone' sul quale annotare compiti, inserire foto e biglietti dei concerti, allegare il libretto delle giustificazioni e trovare le dediche o gli insulti della morosa di turno. Tra l'immancabile coperta contesa tra due sonnolenti Linus e Snoopy e le pose da marmittoni sgangherati proprie delle Sturmtruppen, non mancava classe nella quale, almeno uno di noi, non avesse un diario che ritraeva in copertina una scolaretta dall'aria osservatrice e curiosa, più o meno di sei anni, faccia tonda e capelli neri a batuffolo tenuti a malapena in ordine da un cerchietto, sul quale sporgeva un vistoso fiocco di colore rosa o rosso. L'aria vispa e birichina di quella piccola bambina, così ingenuamente schietta e disarmante in ogni sua esternazione, era ulteriormente comprovata dalle sue pose: celebre quella pubblicata nel 1978 a nome dell'UNICEF, che ritrae la piccola ribelle appoggiata al mappamondo con la mano fasciata, a simboleggiare i diritti negati dell'infanzia. Parimenti famosa è quella posa che ritrae la protagonista sfiorare, con occhi preoccupati, un mappamondo fasciato, dal quale sporge un termometro. «Fermate il mondo, voglio scendere!». Parliamo di Mafalda, il personaggio creato nel 1962 dalla fantasia del disegnatore argentino Joaquìn Salvador Lavado Tejón (1932-2020), in arte Quino (1932-2020) e divenuto una delle più celebri icone del fumetto mondiale. Oggi, a quasi sessant'anni dalla prima pubblicazione delle strisce a fumetti, apparse per la prima volta nel 1964 sulle colonne del settimanale argentino, di orientamento conservatore, Primera Plana, l'editore Salani ristampa, in unico volume, tutte le strisce a fumetti a beneficio dei lettori italiani (Mafalda, Tutte le strisce, nuova edizione, introduzione di M. Bussola, Salani, pagg. 656, euro 16,90).

L'edizione suscita impressioni contrastanti. A fare discutere, in particolare, è la sproporzione tra la rilevanza di Mafalda, classico della nona arte le cui strisce sono tradotte in oltre trenta lingue diverse e il prodotto finale. Le tre pagine introduttive al volume non presentano nemmeno una data inerente alla storia editoriale della piccola Mafalda e non accennano al vissuto di Quino. Lungi da noi cedere ad accademismi che ne appesantirebbero la lettura, meno che mai sbiadire l'irruenza di battute grazie alle quali Mafalda, fervida sognatrice di un mondo migliore, osserva, con irriducibile ottimismo: «Ho il morale a terra. Che triste destino per il morale!», tutte battute che rappresentano il marchio distintivo di quella bambina che ha anticipato di almeno due decenni i nerd più incalliti come Lisa Marie Simpson. Grazie a qualche utile e mai superflua digressione, scopriremmo come il padre di Mafalda, abbia vissuto per ventidue lunghissimi anni a Buenos Aires nel quartiere medioborghese di San Telmo, frequentato da quella cittadinanza che auspicava un peronismo moderato, lontano anni luce dalle dittature militari: l'appartamento di Quino distava pochi isolati dalla Facoltà di Sociologia, diretta dall'esule Dino Germani. Creata nel 1962 su committenza dell'azienda «Siam di Tella» per pubblicizzare una nuova linea di lavatrici, denominata «Mansfield», che mai ne utilizzò la figura come portafortuna (oggi diremmo: testimonial), Mafalda sarebbe entrata nei cuori di milioni di lettori da ben altri fronti. Meraviglia anche un'affermazione andata ben oltre la sua stringata vita editoriale, iniziata in Argentina l'anno successivo alla sua creazione, approdata in Spagna nel 1965 e conclusasi, dopo alterne fortune, nel 1973, sulle pagine del periodico Siete Días Illustrados.

Nella capitale argentina, i turisti che sostano nei pressi del civico 371 di via Chile, non sono solo soliti fotografare il portone d'ingresso dello stabile nel quale viveva Lavado, con annessa una semplice targa commemorativa. Basta fare due passi per vedere una panca nella quale Mafalda, in compagnia degli amici di sempre, Manolito e Susanita, sembra osservare, con aria incredula, la coda di estimatori che attende il proprio turno per farsi fotografare accanto a un personaggio-simbolo della cultura popolare. A proposito, vi siete mai chiesti perché il creatore di Mafalda ha scelto di adottare il nome d'arte Quino? Per chiedere lumi in merito, bussiamo alla porta del laico Umberto Eco e del gesuita Giancarlo Pani: la risposta inerisce alla biografia del cartoonist latinoamericano, facendone risalire l'attribuzione al vezzeggiativo adottato dallo zio Joaquim per il suo amato nipotino dallo spiccato talento artistico.

A quali ragioni dobbiamo la popolarità di quella scolaretta che sembra, in tutto e per tutto, la nemesi di Barbie? Critica di costume, mordace satira politica, irriverenza nei confronti di qualsiasi modello comportamentale incensato come assoluto: quale personaggio dell'immaginario collettivo sarebbe oggi deputato a guardare, con occhi straniati, il folle mondo degli adulti, se non quella piccola peste di Mafalda? A tutto questo va aggiunto quella componente di umanità, vissuta nelle relazioni quotidiane, che non trovi neppure nella più sofisticata Lucy dei Peanuts.

Mafalda ci sprona a ponderare i mille problemi di questo mondo folle e stupendo con la giusta dose di levità, a patto di non scambiarla, grossolanamente, con superficialità.

Qualora prevalesse una simile eterogenesi dei fini, avremmo preparato quel minestrone che la fortunata creatura di Quino non avrebbe mangiato neanche sotto tortura.

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