Sarpi addio, spunta via Padova ma il quartiere è pronto alla rivolta

Dal Pirellone arriva la stretta su Chinatown. Norme più severe sul commercio all’ingrosso. Impegno concretizzato dalla Regione Lombardia con l’obbligo di autorizzazione per la vendita per superfici che «superino» il piccolo esercizio. Ma il provvedimento che gli uffici regionali stanno predisponendo prevede pure un divieto per separare negozi all’ingrosso e al dettaglio. Come dire: stop al cumulo di attività - dettaglio e ingrosso - all’interno dello stesso negozio.
Cala dunque la scure dell’amministrazione guidata da Roberto Formigoni su quelle imprese cinesi che, in questi anni, si sono consolidate approfittando dei vuoti della legislazione e, quindi, accoppiando quasi sempre le attività di vendita.
E se gli uffici legislativi dell’assessorato al Commercio fanno sapere che le nuove norme saranno disponibili entro giugno, al Comune di Milano si lavora sul fronte della delocalizzazione dell’ingrosso. «Logica conseguenza dello sfratto dei commercianti cinesi di via Paolo Sarpi e dintorni» osservano da Palazzo Marino. Delocalizzare, ma dove? I gruppi dell’Unione nei consigli di zona 1 e 8 hanno già chiesto che «la struttura ad hoc sia posta in un ambito accessibile viabilisticamente e possibilmente extraurbano».
Ambito extraurbano esclusa la soluzione di Muggiò: la Regione non intende convertire a centro all’ingrosso quell’area dell’ex cinema multisala (Magic music park) acquistata da un imprenditore cinese e oggi coinvolta in una procedura fallimentare. Struttura che, tra l’altro, per le sue dimensioni (2.500 metri quadrati) non potrebbe ospitare tutti e quattrocento gli attuali commercianti all’ingrosso della Chinatown milanese.
Escluse poi le delocation di San Donato e di Cernusco sul Naviglio che, nel quadrilatero di Sarpi, sono però vagheggiati ancora come ipotesi realizzabili. Lo stop alla prima delocalizzazione lo firma il centrosinistra - il sindaco uscente Achille Taverniti (Ds) e la sua giunta si mettono di traverso al progetti -, mentre la seconda soluzione, Cernusco sul Naviglio, naufraga per la mancanza di un’area adatta al caso.
Non resta quindi che il capoluogo, Milano, con i suoi due milioni di metri quadrati di aree dismesse. Ma, attenzione, la soluzione «non può essere a carico delle Istituzioni»: «È auspicabile ma non può avvenire né a carico del Comune né della Provincia o della Regione» ricorda il sindaco Letizia Moratti.
Milano, ma dove? Spunta un’ipotesi: l’area di via Adriano-via Trasimeno, in zona via Padova. Periferia dove vivono 2.718 cinesi (14.323 sono i cinesi residenti a Milano e iscritti all’anagrafe, ndr) e si contano già decine di laboratori illegali tra via San Mamete, via Paruta e via Biumi.
«Triangolo pericoloso» osserva Barbara Calzavara (Fi), vicepresidente del parlamentino di zona: «Se ospitiamo la Chinatown numero due il nostro quartiere rischia di franare, di diventare il parcheggio del disagio milanese anche se di aree potenziali ce ne sono. Da qualche giorno rimbalza da Palazzo Marino e il Cdz questa storia della delocalizzazione. Speriamo che il Comune la smentisca visto che, poi, dovrebbe essere proprio demandata agli uffici comunali la facoltà di intervenire esplicitamente sulle destinazioni d’uso delle aree urbanistiche».
Preoccupazione che dal Comune non si conferma né si smentisce e spinge An e Fronte dei cittadini a indire «un presidio in via Adriano».

Manifestazione di protesta «nei pressi dei laboratori abusivi», avverte Giovanni De Nicola (An), capogruppo provinciale: «Sarebbe un errore mettere proprio lì l’area dell’ingrosso con gli occhi di mandorla. Sarebbe però un errore da manuale per l’amministrazione Moratti che sin qui ha deciso senza mai consultare zone e comitati di quartiere».

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