In nome della procura. In nome del padre. Marina ha fatto la sua dedica, Saviano pure. È il tempo delle scelte, definitive, e dalle decisioni non si torna indietro. Non si può. Non è possibile. Anche se i duellanti, sulla carta, stanno nella stessa squadra: la Mondadori. Marina Berlusconi che della Mondadori è presidente, non rinnegherà mai suo padre. Roberto Saviano, che dalla Mondadori è stato lanciato e della casa di Segrate è scrittore di punta con il successo planetario di Gomorra, ha sempre navigato con disagio nel mondo berlusconiano. E ha sempre cercato di dividere la sua appartenenza al team di Segrate dalla sua vita e dalle sue convinzioni. Ora però, come un sacerdote che indossi i paramenti sacri, celebra ufficialmente il rito di consacrazione della magistratura di Milano. E Marina gli risponde rompendo ogni rapporto nel giro di cinque ore.
Lhanno chiamata la battaglia finale: Berlusconi contro i magistrati, i magistrati contro Berlusconi. Uno scontro che è un gorgo: Saviano, un personaggio che coincide con il suo profilo così marcato, si butta nelle acque schiumanti e trascina Marina. Lui, che è considerato licona della legalità, tributa una standing ovation ai magistrati, un plauso senza se e senza ma. Lei che tiene il timone dellimpero editoriale ma custodisce anche lonore della famiglia, lo fulmina: Saviano è accecato dallideologia del giustizialismo che tutto calpesta e travolge.
Comincia lui, ringraziando lUniversità di Genova che gli ha appena conferito la laurea honoris causa: «Dedico questa mia laurea ai magistrati Boccassini, Sangermano e Forno che stanno vivendo momenti difficili solo per aver fatto il loro mestiere di giustizia». La dedica è incisa. E quella dedica colpisce Marina che risponde a stretto giro: «Mi fa letteralmente orrore che una persona come lui, che ha sempre dichiarato di voler dedicare ogni sua energia alla battaglia per il rispetto della libertà, della dignità delle persone e della legalità, sia arrivata a calpestare e di conseguenza a rinnegare tutto quello per cui ha sempre proclamato di battersi».
È una sconfessione in piena regola, quella di Marina. Una scomunica. Quasi un addio. E probabilmente lo è sul piano umano. Solo a luglio scorso, ma pare un secolo fa, Marina aveva idealmente stretto la mano a Saviano ed espresso «il più totale rispetto per il coraggio che ha avuto e per il prezzo che sta pagando».
Ora quella complicità si è dissolta. Cè solo gelo. E un muro di incomunicabilità. Prosegue Saviano: «Chiunque oggi decide di avere una posizione critica contro questo potere, contro questo governo, sa cosa lo aspetta se va fino in fondo: delegittimazione, la macchina del fango».
Va avanti Marina: «Il mestiere di giustizia», come lo chiama Saviano, «non dovrebbe avere nulla a che vedere con la persecuzione personale e il fondamentalismo politico che questa vicenda mette invece tristemente, e con spudorata evidenza, sotto gli occhi di tutti».
In nome del padre. Ma non di un clan. E senza istinti padronali. In nome delle toghe. E dellinchiesta su Ruby. Il furore di Saviano, che a Marina pareva energia morale, ora diventa per il numero uno di Mondadori una lingua ostile, incomprensibile, estranea ai principi di civiltà. E certo gli deve apparire quasi un manifesto ideologico quel discorso che Saviano ha consegnato alla platea di Genova. Con un passaggio che pare, per certi aspetti, la prosecuzione di un format ideologico alla Vieni via con me: «Cè un meccanismo strano - spiega lui - da parte di quei giornali che tentano di dimostrare che siamo tutti sporchi e quindi dobbiamo stare tutti zitti».
Si commuove, Saviano. E non scende più dal pulpito dellantiberlusconismo. Chissà se, dopo aver sparso il sale del disprezzo sul Cavaliere e sul suo impero, mediterà, avvolto dalla coperta del suo sdegno, anche sulladdio a quel bancomat chiamato Mondadori. Lui.
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